Leila si era chiusa in una sfera di solitudine, separandosi da un ambiente che ormai le sembrava stupido e ostile, pieno di grida e risate assordanti, di cose e odori sconosciuti, di sibili pneumatici e gemiti idraulici. Quello era un mondo di gente normale che faceva cose normali, e lei ne era esclusa. Aveva paura di pensare troppo a quello che stava per fare; e fino a che le enormi portiere non si erano chiuse, sigillando l’aereo, aveva provato il desiderio di alzarsi e scendere. Solo quando si accesero i motori, facendo tremare il pavimento e i braccioli del sedile, lei permise al fiume di pensieri di riversarsi nella sua mente.
“Cosa mi hai fatto, John? Le cose che stanotte ho accettato come prove solo perché ero del tutto sconvolta non sono affatto prove. Un pezzo di giornale con la data sbagliata, un paio di coincidenze strane…
“Mio Dio, cosa sto facendo? Andrò a finire in galera, ecco cosa! Parto per gli Stati Uniti per andare a bruciare una casa con le bombe molotov. Mi chiuderanno in carcere, non uscirò più!”
Leila fissava due steward che stavano cercando di infilare un grande contenitore d’alluminio per cibi caldi nell’apposito scomparto. La sua mente era talmente sottosopra che solo dopo dieci minuti di vani tentativi da parte degli steward, Leila capì che la sequela d’inconvenienti e ritardi per quel volo non era ancora terminata. Il contenitore d’alluminio continuava a bloccare un corridoio, e l’aereo non s’era mosso di un millimetro.
Un’hostess cercò di dare consigli ai due steward, che la cacciarono in malo modo. L’hostess si arrabbiò. I due rinnovarono gli sforzi per sistemare il contenitore, lo presero a pugni, a spallate, facendo un gran fracasso. Arrivarono un altro steward e un membro dell’equipaggio. I quattro cominciarono a discutere sottovoce, e l’udito acuto di Leila captò due parole: “tecnico” e “dissigillare”. Il suo cuore cominciò a battere più forte.
L’annuncio del capitano che si prevedeva un altro ritardo suscitò applausi ironici, ma Leila non li sentì nemmeno. Si sganciò la cintura, si alzò, prese giacca e borsa e si incamminò verso la porta centrale dell’aereo che si era appena aperta. Uno steward in camicia bianca a mezze maniche le sbarrò la strada mentre lei cercava di oltrepassare il meccanico che stava salendo a bordo con una scatola d’attrezzi.
— Mi spiace, signorina — disse lo steward. — Non si può scendere. C’è qualcosa che non va?
— Ho cambiato idea. Non parto più. — Cercò di essere decisa, sicura. — Voglio scendere, e penso che questo rientri nei miei diritti.
Lo steward scosse la testa. — I passeggeri non possono più scendere quando i bagagli sono stati caricati. È una misura di sicurezza, signorina.
— Non me ne importa niente dei vostri regolamenti.
— Se volete tornare a sedervi sono sicuro che…
— Non ho nessuna voglia di tornare a sedermi perché questo aereo doveva partire più di quattro ore fa, e così io ho perso un appuntamento importantissimo, e adesso è inutile che vada in America, per cui non ci vado. — Leila alzò il tono di voce, attirando l’attenzione dei passeggeri più vicini. — Se cercate di tenermi a bordo per forza, mentre i vostri cosiddetti tecnici tentano di sistemare quel contenitore, vi prometto che butto in piedi la causa più rognosa, più lunga e più spiacevole che vi sia mai capitata.
— Ma non capite, signorina? — disse lo steward, con aria infelice. — Se scendete adesso dovremo scaricare tutti i bagagli e…
— Siete voi che non capite — ribatté Leila. — Se mi impedite di scendere immediatamente mi rivolgerò ai giornali, e racconterò che questo volo ha avuto un ritardo di quattro ore per un banalissimo contenitore di cibo. Farò in modo che tutta l’Inghilterra sappia che razza di servizio offre la vostra compagnia.
Lo steward alzò le mani. — Aspettate qui, per favore. Vi faccio parlare col capitano Sinclair.
I trenta minuti che seguirono furono uno dei periodi più difficili e imbarazzanti di tutta la vita di Leila, specialmente perché la sua brusca decisione di non partire suscitò i sospetti degli impiegati della dogana e dell’ufficio immigrazione, nonché della polizia; ma lei superò tutto con una calma gelida. Crollò solo quando, ripartita dall’aeroporto in direzione nord, si trovò nei pressi di Uxbridge. Accecata dalle lacrime, si fermò sul ciglio della strada, appoggiò la fronte sul volante.
— Mi spiace, John — mormorò. — Mi spiace tanto. Ho tentato, anche se tu non vorrai credermi… Ma stasera dovrai cavartela da solo.
11
La famiglia era riunita di nuovo. Sedevano tutti a semicerchio nel soggiorno del pianterreno.