Il mattino dopo avevo preparato i bagagli (la solita vecchia sacca, semivuota) e mi aggiravo in cucina, gettando alcune cose e mettendone da parte altre scrivendo un biglietto per il padrone di casa, quando squillò il terminale.
Era la ragazza simpatica della IperSpazio, quella col figlio di sei anni. — Lieta di averti trovata — disse. — Il mio capo ha un lavoro per te.
(
Apparve la faccia idiota di Fawcett. — Dici di essere un corriere.
— Sono il migliore.
— In questo caso, meglio per te se non esageri. È un lavoro interplanetario. Okay?
— Certo.
— Scrivi. Franklin Mosby, Finders Inc., appartamento seicento, palazzo Shipstone, Beverly Hills. Spicciati. Vuole vederti prima di mezzogiorno.
Non scrissi l’indirizzo. — Signor Fawcett, vi costerà un kilodollaro, più il biglietto di andata e ritorno per la sotterranea. In anticipo.
— Eh? Ridicolo!
— Signor Fawcett, sospetto che nutriate qualche risentimento. Forse vi piacerebbe di farmi partire per nulla e farmi perdere un giorno e il costo del biglietto per Los Angeles.
— Ragazzina, senti, potrai ritirare il prezzo del biglietto qui in ufficio, dopo il colloquio. Adesso devi partire. In quanto al kilodollaro, devo proprio dirti cosa puoi farne?
— Non datevi pensiero. Come addetto alla sicurezza mi aspetto solo uno stipendio da addetto alla sicurezza. Ma come corriere… Io sono il meglio, e se quest’uomo vuole veramente il meglio, pagherà il colloquio con me senza batter ciglio. — Aggiunsi: — State scherzando, signor Fawcett. Addio. — Interruppi.
Richiamò undici minuti dopo. Parlava con l’aria di chi soffre molto. — I soldi per il biglietto e il kilodollaro saranno alla stazione. Ma il kilodollaro ti sarà dedotto dal salario e lo restituirai se non avrai il lavoro. In entrambi i casi, io avrò la mia commissione.
— Non lo restituirò per nessun motivo, e voi non avrete alcuna commissione da me perché non vi ho nominato mio agente. Forse potrete avere qualcosa dal signor Mosby, ma in questo caso non verrà dal mio stipendio o dal mio compenso per il colloquio. E non andrò ad aspettare alla stazione come un ragazzino che gioca a nasconderello. Se fate sul serio, manderete i soldi qui.
— Sei impossibile! — Il suo viso svanì dallo schermo, ma la comunicazione non s’interruppe. Apparve l’assistente di Fawcett. — Senti — disse — questo lavoro è di un’urgenza pazzesca. Vogliamo vederci alla stazione sotto New Cortez? Farò il più in fretta possibile, e porterò i soldi per il biglietto e il tuo compenso.
— Certo, tesoro. Sarà un piacere.
Chiamai il padrone di casa, gli dissi che lasciavo la chiave in frigorifero, e che non facesse marcire la roba.
Quello che Fawcett non sapeva era che
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La targhetta sulla porta diceva solo FINDERS, INC. E SPECIALISTI IN PROBLEMI INTERPLANETARI. Entrai e un’impiegata in carne e ossa mi disse: — Il posto non è più libero, cara. L’ho avuto io.
— Chissà per quanto lo terrai. Sono qui perché ho un appuntamento col signor Mosby.
Lei mi scrutò attentamente, senza fretta. — Ragazza squillo?
— Grazie. Dov’è che ti fai tingere i capelli? Senti, mi mandano le Linee IperSpazio, ufficio di Las Vegas. Ogni secondo costa orsi al tuo capo. Sono Friday Jones. Annunciami.
— Scherzi? — quella toccò la consolle, parlò in un microfono smorzavoce. Io tesi le orecchie. — Frankie, qui c’è una scema che dice di avere un appuntamento con te. Dice che la manda la Ipo di Las Vegas.
— Porcaccia miseria, ti ho detto di non chiamarmi Frankie su! lavoro. Falla entrare.
— Secondo me non la manda Fawcett. Mi stai tirando il bidone?
— Chiudi il becco e falla entrare.
Quella spinse via il microfono. — Siediti lì. Il signor Mosby è in riunione. Ti saprò dire appena si libera.
— Non è quello che ti ha detto lui.
— Eh? Da quando in qua ne sai tanto?
— Ti ha detto di non chiamarlo Frankie sul lavoro e di farmi entrare. Tu hai risposto qualche fesseria e lui ti ha ordinato di chiudere il becco e lasciarmi entrare. Quindi entro. È meglio che mi annunci.
Mosby era sulla cinquantina e cercava di dimostrare trentacinque anni. Aveva un’abbronzatura costosa, un abito costoso, un grosso sorriso e settantaquattro denti e occhi freddi. Mi indicò una poltroncina. — Perché ci avete messo tanto? Ho detto a Fawcett che volevo vedervi prima di mezzogiorno.
Mi guardai l’indice, poi l’orologio sulla scrivania. Le dodici e quattro. — Dalle undici ad adesso ho percorso quattrocentocinquanta chilometri, più uno shuttle urbano. Devo tornare a Vegas e vedere se mi riesce di battere il record? Oppure vogliamo parlare d’affari?
— Ho detto a Fawcett di fare in modo che prendeste la sotterranea delle dieci. Okay, okay. A quanto ne so, avete bisogno di lavorare.