"Decisi che da quel momento in avanti avrei aiutato quelle persone che aiutavano me. E non avrei dato ascolto a nessuno." Fece una pausa. "Tanajin ha composto una poesia:
"Lascio
queste paludi.
Me ne vado lontano.
"Non vi sentirò
mai più,
o donne del villaggio,
"Fare rumori
come gli uccelli
fra le alte canne".
Fece il gesto che significava "così sia" oppure "è finita".
Restammo tutti in silenzio.
Ulzai si alzò in piedi. — Me ne vado fuori di nuovo. Forse tornerò questa notte. Forse no. — Uscì dalla grotta.
Derek cambiò posizione, sollevando un ginocchio e appoggiandovi il braccio. I suoi lunghi capelli erano sciolti in quel momento. Gli cadevano sulle spalle e aveva una ciocca negli occhi. Se la tirò indietro, poi si grattò il mento. — La prima cosa che farò quando saremo tornati sarà di sbarazzarmi di un po’ di questo pelame.
— Ma ne hai così poco! — disse Nia.
Avevo un’unghia seghettata e me la mordicchiai. — Non capisco la storia.
— Non devi capire niente — disse Derek.
— Perché le donne del villaggio provavano antipatia per Tanajin?
— Ci sono donne così — disse Nia. — Non vanno d’accordo con le altre. Forse amano litigare o forse si tengono in disparte dalle altre persone.
"Avevo un’amica quando ero giovane. Angai. Era la figlia della sciamana e aveva la lingua tagliente. Non piaceva quasi a nessuno. Parlavano di lei, sebbene non abitualmente quando io mi trovavo nei dintorni."
— Che cosa le è successo? — chiesi. — Ha fatto la fine di Tanajin?
Nia fece il gesto che significava "no". — Sua madre è morta e lei è diventata la nuova sciamana. Ti ho parlato di lei. Ne sono sicura.
— Non mi ricordo. Tu eri una persona come Tanajin?
— No — rispose Nia. — Io ero una persona comune. La gente non parlava di me. — Aggrottò la fronte. — Non credo che lo facessero. Non prima che scoprissero di me e di Enshi. Dopo è stato tutto diverso.
Sembrava a disagio. Cambiai argomento. Parlammo del tempo e poi del fiume. Ulzai non tornò. Il fuoco si consumò e divenne un mucchio di braci da cui saliva ancora un sottile filo di fumo che si avvolgeva a spirale fra le foglie. Mi coricai, restando ad ascoltare gli altri. Le loro voci si fecero più sommesse e lontane finché le loro parole persero significato.
Derek mi svegliò il mattino dopo. — Muoviti. Ulzai dice che sarà una lunga giornata.
Mi rigirai e gemetti. L’aria era umida e mi dolevano le braccia. Andai fuori a orinare.
La nebbia copriva la valle e il fiume era invisibile. Gli arbusti, anche quelli proprio davanti a me, erano indistinti e scoloriti. Non era certo la giornata per il saluto solare. Feci qualche esercizio di stretching, poi tornai nella grotta. Nessuno si era preoccupato di riaccendere il fuoco. La grotta era buia e tiepida e odorava di corpi pelosi. Un odore confortante.
Facemmo i bagagli.
— Come facciamo a viaggiare? — domandò Nia. — Sono stata fuori. L’aria è come la pelliccia del ventre di un cornacurve. Non riusciremo a vedere niente.
— Conosco il fiume — disse Ulzai. — Possiamo viaggiare mezza giornata prima di imbatterci in qualcosa di insolito o pericoloso. E allora la nebbia sarà già sparita. L’aria sarà limpida quando arriveremo nel punto dove l’acqua cade.
— Ne sei sicuro? — chiese l’oracolo.
— Sì — rispose Ulzai. — Muoviamoci. E fate attenzione.
Incominciammo a scendere fra la nebbia, Ulzai in testa. La roccia che superammo era scivolosa. Non vedevo quasi niente: la figura indistinta di Ulzai, qualche arbusto confuso. Ne sfiorai uno. Le foglie erano orlate di goccioline di umidità. Da qualche parte lì vicino il torrente gorgogliava.
— Ahi! — gridò qualcuno.
Mi voltai e vidi Nia e Derek. L’oracolo era sparito.
— Che cosa è successo?
Nia fece il gesto del dubbio.
— Quel maledetto sciocco è finito nel burrone — disse Derek.
— Aiuto — gridò l’oracolo. La sua voce sembrava lontana sebbene dovesse essere abbastanza vicina.
Derek scrutò nel burrone. — Non riesco a vederlo. Oracolo! Grida di nuovo!
— Aiuto — fece l’oracolo.
— Proprio qui sotto. — Derek depose le sacche che portava, si tolse gli stivali e i calzini e si calò nel burrone.
— Che cosa sta succedendo? — chiese Ulzai alle mie spalle.
— L’oracolo è caduto nel burrone.
— Un uomo maldestro!
Feci il gesto dell’affermazione.
— L’ho preso — disse Derek. — Riesci a tenerti in piedi?
— Non lo so — rispose l’oracolo.
— Provaci.
Ci fu un minuto di silenzio.
—
Ulzai sbuffò. Mi avvicinai al ciglio del burrone e guardai giù. C’erano delle forme indistinte sotto di me: rocce e rami, appena visibili attraverso la nebbia.
— Andiamo — disse Derek. — Ti aiuto a salire.
I rami si mossero. Comparvero due figure: una pallida e umana, l’altra scura, massiccia e aliena. Mi inginocchiai e allungai una mano. L’oracolo l’afferrò. Tirai. Derek lo sollevò. Insieme lo tirammo fuori.
— Com’è potuta accadere una cosa simile? — domandò l’oracolo.
— Non chiederlo a noi — ribatté Derek. Si inginocchiò accanto all’oracolo, che si era seduto, e gli tastò la caviglia. L’oracolo emise un gemito.