Alla fine andarono a dormire. Nia rimase sveglia. L’ingresso della tenda era aperto, ma c’era pochissimo vento. L’aria dentro la tenda era calda e stagnante. Guardò fuori dalla porta. Le stelle brillavano sopra le tende delle sue vicine di un tempo. Così numerose! Così grosse e splendenti!
Si alzarono all’alba e incominciarono a caricare i carri. Anasu portò gli animali da tiro per il carro: sei bellissimi cornacurve castrati. Li attaccarono al carro. Il cielo era sereno. La giornata sarebbe stata molto calda. Nia lo sentiva.
Angai disse: — Vorrei che tornassi fuori a prendere un animale per Nia. Macchia Bianca o Gagliardo o Corno Rotto, quello che riesci a trovare.
— Perché gliene serve uno? — domandò Anasu. — Credevo che avrebbe viaggiato sul carro.
— Nia ci lascia — disse Hua.
— Perché?
— Vuole stare da sola.
—
— È in collera? — chiese Nia.
— Un po’, forse — rispose Hua. — Non è stato facile averti come madre, anche se Angai ci ha protetti.
Nia fece il gesto delle scuse.
— Poteva essere peggio — osservò Hua. — Potevamo avere Anhar per madre. O Ti-antai. Una donna cattiva. Una donna che è una vigliacca.
— È questo che pensi di Ti-antai?
— Forse non è una vigliacca — disse Hua. — Forse ha una mente ristretta. Non pensa mai a nient’altro che alle proprie figlie e alle loro figlie e alle vicine.
— Non è abbastanza?
— Non per me. Io diventerò una sciamana.
— Allora puoi aiutarmi adesso — disse Angai. — Ho parecchie casse piene di oggetti magici che vanno sistemate sul carro. Nia non le toccherà. Lo so.
Hua fece una smorfia, poi il gesto dell’assenso.
Quando ebbero finito di caricare gli oggetti magici, smontarono la tenda. Nia le aiutò. La caricarono sul carro. Entro mezzogiorno erano pronte a partire, e così il resto del villaggio. Nia si guardò attorno. Non c’era più una sola tenda in vista. Invece c’erano carri e cornacurve, donne che sollevavano casse, bambini che correvano. Alcuni carri avevano incominciato a muoversi e una nube di polvere era sospesa a mezz’aria verso la parte occidentale del villaggio.
Anasu tornò, conducendo un cornacurve: un castrato giovane e robusto. Aveva una grossa chiazza bianca al centro del torace, curva come un arco. L’impugnatura dell’arco era sul fondo e i due bracci si alzavano su entrambi i lati. A Nia quel disegno ricordava anche altre cose: il simbolo di "pentola", il simbolo di "barca", e la Grande Luna quando era sotile. Se l’animale apparteneva ad Angai, doveva essere fortunato, sebbene Nia si sentisse turbata guardando il disegno e vedendo tante cose.
— Ha cinque anni — le spiegò Angai. — Non c’è un miglior viaggiatore nella mandria. Sii prudente, però. Qualche volta, anche se non spesso, diventa un po’ nervoso.
— Non ho niente da darti in cambio — disse Nia.
— Mi hai parlato delle persone senza pelo. Mi hai dato buoni consigli.
Nia fece il gesto che significava "non è stato niente".
— È sufficiente — ripose Angai.
Hua le porse un paio di bisacce da sella. — Sono per te. — Vi ho messo dentro tutto quello che dovresti avere. Mia madre, l’amica della sciamana, non può andare sulla pianura senza niente.
Nia prese le bisacce e le legò al suo animale. Provava una strana sensazione nel petto.
Anasu si girò e slegò il mantello sistemato dietro la sua sella. — Anche questo è per te. Un dono di addio, anche se non ho mai sentito parlare di un ragazzo che faccia un dono alla propria madre.
— Il dono che offre il ragazzo è la propria vita sulla pianura — disse Angai. — Lui si prende cura della mandria. La guida e la sorveglia. È sufficiente. Compensa i doni che riceve dalle sue parenti.
Una vera sciamana! pensò Nia. Ha sempre avuto una risposta. È sempre stata pronta a offrire insegnamenti e spiegazioni.
Prese il mantello. Era fatto di lana grigia ornata di ciuffi di pelo su un lato così da sembrare la pelle di un animale. Portava attaccati due fermagli, grandi e fatti in argento. Uno aveva la forma di un cornacurve disteso, con le zampe piegate. L’altro aveva la forma di un assassino-delle-pianure. I due fermagli erano uniti da una catena d’argento.
Anasu disse: — È un buon mantello. Non dovrai preoccuparti per la pioggia finché l’avrai. E non soffrirai il freddo neppure in inverno.
Nia legò il mantello sopra le bisacce, poi montò in sella e rimase a guardare gli altri tre: il ragazzo sul suo cornacurve, Angai e Hua ritte al centro di una macchia di vegetazione. Si sentiva la mano intorpidita. Non riusciva a muoverla. Non c’erano parole nella sua gola e nella sua mente.
— Sempre la stessa! — le disse la sua amica. — Ci sono cose che non sei mai riuscita a dire.
— Non ho mai amato il momento della separazione. — Fece il gesto della gratitudine e il gesto dell’addio, poi voltò il suo animale e si allontanò.