Nel 1979 sviluppai lo stesso tema ricavandone una breve scaletta cinematografica che apparve sulla rivista OMNI (vol. 3, n. 12, 1980). Essa è poi apparsa nella raccolta illustrata dal titolo The Sentinel (1984) pubblicata da Byron Preiss/Berkley, insieme a un’introduzione in cui se ne spiega l’origine e il modo del tutto imprevisto in cui essa ha portato a 2010: Odissea due.
Questo romanzo è la terza e ultima versione; esso è stato iniziato nel maggio del 1983 e portato a termine nel giugno del 1985.
Il primo accenno alla possibilità di impiegare le energie dello spazio vuoto a scopo di propulsione si direbbe uno scritto di Shinichi Seike apparso nel 1969 (
Dieci anni dopo, H.D. Froning, della McDonnell Douglas Astronautics, presentò l’idea alla Conferenza di Studi Interstellari delle Società Interplanetarie Britanniche, Londra (settembre 1979) e pubblicò subito dopo due contributi: «Propulsion Requirements for a Quantum Interstellar Ramjet» (
A parte gli innumerevoli inventori di generici «motori spaziali», il primo autore che impiega l’idea in un romanzo è il dottor Charles Sheffield, capo ricercatore della Earth Satellite Corporation; egli analizza i fondamenti teorici del «motore quantico» (o, come lui lo chiama, di un «vacuum energy drive») nel romanzo
Richard Feynman ha calcolato — molto grossolanamente, come lui stesso ammette — che ogni centimetro cubico di spazio vuoto contenga energia a sufficienza per far evaporare tutti gli oceani della Terra. Un’altra stima a opera di John Wheeler dà una cifra di circa settantanove ordini di grandezza
In uno scritto che, speriamo, potrebbe assumere un’importanza storica («Extracting electrical energy form the vacuum by cohesion of charged foliated conductors»,
Ma forse no. Sono molto grato al dottor Alan Bond per la sua particolareggiata analisi matematica della protezione necessaria a un volo quale è descritto in questo romanzo, e anche per avermi fatto notare che la forma più vantaggiosa che tale protezione dovrebbe assumere è quella di un cono molto schiacciato. Potremmo benissimo accorgerci che il vincolo più importante del volo interstellare ad alta velocità non è tanto la questione dell’energia necessaria, quanto il problema dell’ablazione della massa dello scudo a opera dei granelli di polvere, e dell’evaporazione a opera dei protoni.
Si può ritrovare la storia — nonché le basi teoriche dell’«ascensore spaziale» nella mia comunicazione al Tredicesimo Congresso della Federazione Astronautica Internazionale, Monaco 1979, dal titolo «The Space Elevator: ‘Thought Experiment’ or Key to Universe?» (ristampato in
Inoltre ho sviluppato l’idea nel romanzo
I primi esperimenti in questa direzione prevedono l’abbassamento nell’atmosfera di carichi appesi a «pastoie» lunghe un centinaio di chilometri a opera dello Shuttle, e cominceranno più o meno quando verrà pubblicato questo libro.
Devo delle scuse a Jim Ballard e a J.T. Frazer perché ho utilizzato il titolo di due loro libri, diversissimi tra loro, per l’ultimo capitolo di questo.
Un ringraziamento particolare al Diyawadane Nilame e a tutti i sacerdoti del Tempio del Dente a Kandy per avermi cortesemente ammesso alla Camera della Reliquia in momenti particolarmente difficili.