Il dottor Hyall gli aveva raccomandato, come terapia per la prevenzione degli attacchi, di dedicarsi a un’attività manuale (“È un fatto ben noto che le crisi si verificano molto di rado quando si è impegnati in un lavoro”). Per un po’ Redpath aveva provato a lavorare come gioielliere e orologiaio, ma un’occupazione del genere aveva lo svantaggio di seguire ritmi molto lenti: da un giorno all’altro si perdevano le fila del lavoro, e occorreva troppo tempo per riprenderle in mano. Le freccette, invece, gli offrivano un coinvolgimento immediato e completo della vista, del tatto e del pensiero. Nonostante lo scetticismo del dottor Hyall e di altri, Redpath era convinto che scaricassero lungo canali innocui gli eccessi di energia neurale.
Andò a riprendere la tazza del caffè e si trasferì in cucina. Adesso si sentiva leggermente svuotato. “Non vincerò mai” pensò. “Ed è tutta colpa di Leila. Stamattina avrebbe dovuto essere qui.”
Redpath finì il caffè, mise la tazza nel lavandino, accanto alla ciotola per cereali, e lasciò scorrere un po’ d’acqua calda. Gli restavano ancora quindici minuti prima di dover partire per l’istituto. Adesso si sentiva abbastanza forte da affrontare il giornale e la posta, che lo aspettavano in corridoio da quando si era alzato. Uscì dalla cucina e si inginocchiò a raccogliere le carte sparse attorno alla porta. La busta marrone era in cima al mucchio e recava l’intestazione: “Harrup Phizackeley, Agenzia Immobiliare”. Capì subito che si trattava di un altro sollecito per il pagamento dell’affitto, ormai in arretrato di tre mesi. Palpò la busta, decise che doveva contenere più di un foglio, e si chiese se la situazione fosse degenerata oltre i limiti consueti. Comunque quello era un mistero che poteva risolvere in serata. Mise da parte la lettera senza aprirla. Guardò le altre tre buste: due avvisi pubblicitari e una bolletta della luce. Cosa diceva quell’inserzione che leggeva sempre sulle riviste americane? “Riceverete posta interessante.”
Con un sospiro, ancora inginocchiato, rivolse l’attenzione al giornale, che era l’“Haverside Herald”, un piccolo quotidiano diffuso nelle Quattro Città e nei pochi villaggi che formavano il distretto di Sud Haverside. Lo preferiva ai giornali a diffusione nazionale perché, nonostante l’“Herald” facesse di tutto per essere irritante come ogni quotidiano che si rispetti, di solito parlava di tragedie su scala minore, e così Redpath poteva cullarsi nell’illusione che esistessero vie d’uscita. Per esempio, quel mattino un articolo in prima pagina parlava di un allevatore di piccioni dei dintorni a cui era scomparsa un’intera nidiata di uccelli da competizione.
… «Si tratta senz’altro di sabotaggio» ci ha raccontato stasera il signor Giddings, che ha 54 anni. «I miei piccioni sono arrivati in perfetto orario dalla Francia, e senza ombra di dubbio sono stati visti passare sul punto di controllo di Tiverly Edge alle dieci di mattina di domenica, il che significa che avrebbero dovuto»…
Redpath smise di leggere. Si era accorto di qualcosa di strano. A quell’ora il corridoio davanti alla sua porta riceveva una splendida illuminazione naturale, e sotto la soglia correva una linea sottile di luce argentea. La linea di luce c’era, ma interrotta al centro, il che significava che c’era un oggetto appoggiato a ridosso della porta, oppure che in corridoio c’era qualcuno. La prima ipotesi era la più semplice (il postino abbandonava spesso i pacchi che non passavano sotto la porta), ma a Redpath sembrava che le estremità di quel segmento nero ondeggiassero lentamente, come succede con l’ombra di un essere vivente. D’altra parte non si sentiva nessun rumore, nessuno sembrava sul punto di suonare il campanello, e gli era difficile credere che qualcuno fosse tanto pazzo da mettersi di guardia davanti al suo appartamento. Doveva essere un pacco. Quelle leggere oscillazioni nella zona scura dovevano essere un gioco di luci: forse le foglie degli alberi davanti al condominio mosse dal vento, oppure il disco del sole oscurato dalle nubi.
Redpath si alzò, protese la mano verso il catenaccio; poi successe qualcosa dentro la sua testa. Avvertì un senso di turbamento, uno scivolare di prospettive, un evento psicologico. Senza rendersene conto si mise a guardare l’occhio magico installato nel mezzo della porta, un congegno assurdo che lui non aveva mai usato perché serviva solo alle vecchie signore sospettose e nevrotiche. Ma appoggiò l’occhio alla lente di vetro.
La faccia che apparve dall’altra parte non gli sembrò subito una faccia. Dapprima ebbe l’impressione di una cosa rossa e spugnosa, una specie di pomodoro gigantesco o di un frutto rosso sbucciato, di cui fosse visibile solo la polpa umida all’interno. Per un attimo emersero, da quella massa informe, tratti umani, e il cervello di Redpath si rifiutò di accettare il messaggio che stava ricevendo. Poi giunse l’istante della verità, terribile, mostruoso, abbagliante.