Читаем La missione di Sennar полностью

Sua madre lo scrutò a lungo e cercò di leggergli in viso che cosa lo tormentasse. Poi abbassò gli occhi. «Ora abita in una casa dall’altro lato del paese, in riva al mare» mormorò.


Sennar si avviò a piedi. Il cielo era livido di nuvole e non ci volle molto perché iniziasse a piovere. Il mare si stagliò immenso davanti a lui.

Le onde si infrangevano sulla banchina con violenza e sommergevano tutto ciò che incontravano. Era il mare possente della sua infanzia, lo stesso mare dal cui ventre lui e il padre strappavano i pesci nei giorni di festa. Lo stesso mare in cui si tuffava felice. Ora sembrava adirato con lui.

Sennar si incamminò sul pontile. I cavalloni gli parvero montagne, ma non aveva paura. Si lasciò sommergere da un’onda e ne uscì indenne, avvolto da un campo azzurrino: una barriera magica, un semplice incantesimo difensivo. «Ti ho battuto» disse ridacchiando. Poi vide in lontananza la casa. Rabbrividì, completamente fradicio, e sentì il coraggio venirgli meno.

Si fermò e si guardò intorno. Forse poteva prima fare un salto alla locanda. Era poco distante da lì e doveva andarci comunque, prima o poi. Rimandò l’incontro con la sorella e deviò dalla strada.

Un uomo anziano, con la barba bianca e il viso scurito dal sole, spingeva a fatica una botte verso l’ingresso della locanda e imprecava contro la pioggia.

Sennar lo riconobbe subito: solo Faraq conosceva tanti modi per maledire qualcosa. Quando gli fu vicino, esclamò: «Hai bisogno di una mano?». L’uomo sussultò e si voltò di scatto. «Sei impazzito? Vuoi farmi prendere un accidente? Chi diavolo sei?»

Sennar represse un sorriso. Il locandiere era rimasto il solito vecchio burbero. «Non ti ricordi di me?»

Faraq lo squadrò con occhio critico, quindi si colpì la fronte con la mano. «Ma certo! Sei Sennar, il mago. Accidenti, sto proprio invecchiando. L’ultima volta che ti ho visto eri un ragazzino e ora sei più alto di me.» Rise e gli assestò un paio di forti pacche sulle spalle. «Perché stiamo qui fuori a bagnarci come pesci? Vieni dentro.»

La locanda era completamente diversa da come la ricordava Sennar, sembrava rimpicciolita. Il mago si sedette a uno dei tavoli in legno massiccio mentre Faraq spariva dietro al bancone.

«Bisogna festeggiare. Con questo tempaccio ci vuole qualcosa di forte» disse il vecchio, poi portò al tavolo una bottiglia piena di liquido violaceo e due bicchieri. «Bentornato, ragazzo.»

Faraq alzò il bicchiere e lo svuotò in un colpo solo. Sennar lo guardò. L’ultima volta che era passato alla locanda aveva i capelli appena ingrigiti e, quando rideva, il reticolo di rughe intorno agli occhi era solo accennato. Per gli dèi, quanto tempo è passato? Il ragazzo buttò giù un sorso. Fu sufficiente a farlo tossire, la gola in fiamme.

«Ma come, un uomo come te non regge lo Squalo?» rise Faraq.

«È la prima volta che lo bevo. Dove vivo ora non esiste.»

Era un liquore forte, lo Squalo. La tradizione voleva che quando un ragazzo compiva sedici anni, per festeggiare il suo passaggio all’età adulta gli uomini del villaggio lo portassero alla locanda e lo facessero ubriacare.

«Ne hai perse di cose andandotene» scherzò Faraq. «Però ho sentito che hai fatto carriera. Consigliere, giusto?»

Sennar annuì.

«E bravo il nostro mago!» Faraq gli diede una violenta pacca sulla schiena.

Sennar era contento di ritrovare la schiettezza della sua gente, la sua rudezza, il suo spirito. Amava la Terra che l’aveva fatto nascere.

Dopo un numero di bicchieri che il ragazzo non fu in grado di calcolare, Faraq gli chiese il motivo del suo ritorno. Sennar, il viso rosso per l’alcol, gli raccontò tutto.

Faraq restò di stucco. «È una follia, Sennar. Ci hanno provato in tanti a raggiungerlo, il Mondo Sommerso. E sai cosa ti dico? Non sono mai tornati.»

«Lo so. Ma è la mia missione, non posso tirarmi indietro. Mi serve qualcuno abbastanza folle da portarmici. Vorrei che tu mi aiutassi a trovarlo.»

«Non ci sarà nessuno disposto a farlo.»

«Vorrà dire che ci andrò da solo.»

Faraq lo guardò con attenzione. «Non riesco a capire se sei un pazzo o un eroe.»

Sennar rise. «Sono pazzo. L’eroismo non so cosa sia. Non ho avuto nemmeno la forza di confessare a mia madre quello che sto per fare. Anzi, ti prego, non dirle nulla. Non voglio che si preoccupi.»

Faraq scosse la testa. «Come vuoi.»

Sennar si alzò. «Mi aiuterai?»

Il vecchio trangugiò l’ultimo sorso e lo accompagnò alla porta. «Non ti garantisco niente, però. Torna domani.»


La pioggia cadeva incessante. Sennar si avviò verso la casa di Kala senza più esitare. Bussò. Nessuna risposta. Bussò ancora. La porta si aprì di scatto.

«Chi diavolo è?»

Era Kala, senza dubbio. Sennar ricordava una ventenne ancora acerba, ma ora sulla soglia si stagliava una donna formosa, con un viso tondo incorniciato da una cascata di riccioli color rame. Per una frazione di secondo restarono a guardarsi, immobili. Sennar vide l’ira montare a poco a poco negli occhi chiarissimi della sorella, azzurri come i suoi. Poi la porta gli sbatté in faccia.

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