— Sì. — Chiudo gli occhi un momento per calmarmi. — Il signor Aldrin ci ha invitati a mangiare una pizza. Ha bevuto birra. Ha detto che non credeva ci fosse profitto sufficiente nel curare autistici adulti… siccome oggi si curano feti e neonati, noi siamo gli ultimi in queste condizioni, almeno in questo paese. Così noi ci siamo chiesti perché erano tanto interessati a sviluppare il trattamento e cos'altro esso potesse fare. Vedete, la cosa somiglia a qualche analisi di schema che mi è capitato di fare. C'è uno schema, che però non è l'unico. Oppure si può pensare di star generando uno schema mentre in realtà se ne generano diversi altri e uno di essi può rivelarsi utile o no, a seconda del problema al quale dovrà essere applicato. — Alzo gli occhi e vedo che Tom mi sta guardando con un'espressione strana. Ha la bocca semiaperta.
Scuote la testa come scrollandola. — Quindi… voi pensate che loro abbiano in mente qualche altra applicazione, qualche scopo di cui voi siete solo un aspetto?
— Può darsi — dico cautamente.
Tom lancia un'occhiata a Lucia che annuisce. — Può darsi davvero — dice. — Provare questo trattamento su di voi fornirebbe loro molti altri dati, e allora… Lasciatemi pensare…
— Io credo che la cosa abbia a che fare con il controllo dell'attenzione — continuo. — Tutti abbiamo modi diversi di percepire gli impulsi sensoriali e… e di stabilire le priorità dell'attenzione. — Non sono sicuro di aver usato i termini giusti, ma Lucia annuisce con vigore.
— Il controllo dell'attenzione… naturalmente. Se si potesse manipolarlo nella genesi e non con mezzi chimici, sarebbe tanto più facile sviluppare una forza-lavoro estremamente motivata.
— Nello spazio — dice Tom.
Mi sento confuso, ma Lucia annuisce di nuovo.
— Già. Per far lavorare la gente nello spazio, il grande problema è fare in modo che si concentri, che non si distragga. Gli impulsi sensoriali lassù non sono quelli ai quali noi siamo abituati, quelli scelti dalla selezione genetica. — Non so come lei faccia a capire cosa sta pensando Tom. Mi piacerebbe tanto leggere nella mente degli altri in questo modo. Lucia mi sorride. — Lou, credo che tu sia inciampato in qualcosa di grosso. Procurami quell'articolo e io mi darò da fare.
Mi sento a disagio. — Io non dovrei parlare del mio lavoro fuori del campus — dico.
— Ma non stai parlando del lavoro — rettifica lei. — Stai parlando del tuo
Mi chiedo se il signor Aldrin sarebbe d'accordo.
Qualcuno bussa alla porta e smettiamo di parlare. Io sono sudato anche senza tirare di scherma. I primi ad arrivare sono Dave e Susan. Raduniamo le nostre cose e usciamo nel cortile posteriore.
Poi arriva Marjory, e mi sorride. Io di nuovo mi sento più leggero dell'aria. Don non è venuto. Suppongo sia ancora in collera con Tom e Lucia perché non si sono comportati da amici con lui.
Sto facendo un combattimento con Dave quando sento un rumore dalla strada e poi un sibilo di gomme che stridono nella corsa. Ignoro il rumore e continuo il mio attacco, ma Dave si ferma e io lo colpisco un po' duramente al petto.
— Chiedo scusa — dico.
— Non ti preoccupare — dice lui. — Pare sia successo qualcosa: non hai sentito niente?
— Sì — rispondo, e cerco di ripercorrere la sequenza dei rumori. Un tonfo, un tintinnio, uno stridore e un rombo. Cosa può essere stato?
— Meglio andare a controllare — dice Dave.
Anche gli altri sono usciti a vedere; li seguo nel cortile anteriore. Alla luce del fanale nell'angolo posso vedere qualcosa che luccica sul marciapiedi.
— È la tua macchina, Lou — dice Susan. — Il parabrezza.
Mi sento gelare.
— La scorsa settimana sono state le gomme… che giorno era, Lou?
— Giovedì — rispondo. Mi trema la voce.
— Giovedì. E adesso questo… — Tom guarda gli altri e loro lo guardano. Posso capire che tutti stanno pensando alla stessa cosa, ma non so quale sia. Tom scuote la testa. — Credo che dovremo chiamare la polizia. Odio interrompere l'allenamento, ma…
— Ti accompagno io a casa, Lou — propone Marjory. Si è avvicinata, è dietro di me. Sobbalzo nel sentire la sua voce.
Tom chiama la polizia perché, spiega, il fatto è avvenuto davanti a casa sua. Mi passa il telefono dopo un poco e una voce annoiata chiede il mio nome, indirizzo e numero telefonico, e il numero di targa della mia macchina.
Poi la voce chiede un'altra cosa, ma le parole si accavallano e non riesco a distinguerle. — Mi dispiace… — dico.
La voce ripete, più alta, separando meglio le parole. Stavolta capisco.
— Ha qualche idea su chi possa aver fatto questo?
— No — dico. — Però qualcuno mi ha tagliato le gomme la settimana scorsa.
— Oh? — Adesso la voce ha assunto un tono interessato. — Ha denunciato il fatto?
— Sì.
— Ricorda il nome dell'agente venuto a investigare?
— Ho un suo biglietto: un momento solo… — Metto giù il ricevitore e tiro fuori il portafogli. Estraggo il biglietto e leggo il nome dell'agente, Malcolm Stacy, e il numero del rapporto.