— Non sono deficienti, sono autistici — ribatté Aldrin automaticamente. — E io non so cosa succederebbe se sapessero quanto è illegale la situazione in cui vogliono metterli. Sarebbe giusto farglielo sapere, ma se poi si rivolgessero alla stampa o qualcosa del genere? Allora davvero sarebbero guai seri.
— E allora vacci da solo. Potrebbero perfino piacerti le altezze rarefatte della piramide manageriale. — Paul rise un po' troppo forte, e Aldrin si chiese se non avesse aggiunto qualcosa al caffè.
— Non saprei — disse. — Non credo che mi lascerebbero andare tanto in alto. E Crenshaw verrebbe a saperlo se chiedessi un appuntamento, e poi ricordi quel memorandum sulla catena di comando?
— Ecco quello che ci meritiamo per aver assunto un generale in pensione come dirigente — mormorò Paul.
Ma ormai il locale si stava vuotando, e Aldrin pensò che doveva andare.
Non aveva idee molto chiare sul da farsi. Sperava ancora che forse la Ricerca troncasse il nodo, così lui non avrebbe più dovuto far niente.
Crenshaw gli fece abbandonare l'idea nel tardo pomeriggio. — Bene, ecco il protocollo di ricerca — disse, sbattendo un cubo dati e un fascio di stampati sulla scrivania di Aldrin. — Non capisco perché gli servano tutti questi esami preliminari: ecotomografia, santo cielo, risonanza magnetica eccetera eccetera… Ma loro dicono che ne hanno bisogno e non sono io a dirigere la Ricerca. — Si capiva chiaramente che sottintendeva
— Prenota i tuoi ragazzi per le visite e mettiti d'accordo con Barr alla Ricerca per organizzare gli appuntamenti per gli esami.
— Appuntamenti? — chiese Aldrin. — E se s'incrociano con il normale orario di lavoro?
Crenshaw si accigliò, poi fece spallucce. — Diavolo, saremo generosi: non gli faremo rimettere in pari il tempo.
— E per quanto riguarda la Contabilità? Quale centro di costo…
— Per amor del cielo, Pete, limitati a occuparti della faccenda! — Crenshaw era diventato rosso scarlatto. — Cerca di cominciare a risolvere problemi, non a farli spuntar fuori!
— Sta bene — disse Aldrin. Non poteva indietreggiare, stava dietro la sua scrivania; ma dopo un istante Crenshaw fece dietro-front e se ne andò. Risolvere problemi! Li avrebbe risolti, ma non sarebbero stati quelli di Crenshaw.
Non so cosa sono in grado di capire e cosa non capisco nell'illusione di capirlo. Consulto il più elementare testo di neurobiologia che riesco a trovare sulla rete, esaminando prima il glossario. Non mi piace sprecare tempo a trovare definizioni se posso impararle prima. Il glossario è pieno di termini mai visti prima… ce ne sono centinaia. E non capisco neppure le definizioni.
Devo cominciare da un livello ancora più basso.
Un testo di biologia per studenti di liceo: questo dovrebbe essere al mio livello. Esamino il glossario: i termini li conosco, benché molti non li abbia più incontrati da anni. Solo un decimo circa sono nuovi per me.
Comincio il primo capitolo e non incontro difficoltà, anche se molte cose sono diverse da come le ricordavo. Me lo aspettavo, del resto, e la cosa non mi disturba. Finisco il testo prima di mezzanotte.
La sera dopo non guardo il mio spettacolo abituale ma cerco un testo universitario. È troppo semplice, dev'essere stato scritto per studenti che non hanno studiato biologia al liceo. Cerco qualcosa di livello più alto, buttandomi a indovinare. I testi di biochimica mi confondono: devo imparare la chimica organica. Ne cerco un testo su Internet e ne scarico i primi capitoli. Leggo di nuovo fino a tardi, e leggo venerdì dopo il lavoro e mentre faccio il bucato.
Sabato abbiamo la riunione al campus. Non mi aspettavo di trovarlo affollato nel fine settimana quasi come in una giornata lavorativa normale.
Trovo le macchine di Cameron e di Bailey già lì quando arrivo; gli altri non ci sono ancora. Trovo la sala della riunione. Ha pareti tappezzate in finto legno e moquette verde. Contiene due file di sedie con sedili e schienali imbottiti di stoffa rosa fronteggianti una parete della sala. Sulla porta c'è una persona che non conosco, una donna giovane: porta in mano una scatola di cartone contenente targhette con nomi. Ha una lista con piccole fotografie. Mi guarda e dice il mio nome. — Ecco, questa è la sua — dice tendendomi una targhetta fornita di clip. La tengo in mano. — La metta — mi invita lei. Non mi piacciono queste clip, mi tirano la camicia; comunque metto la targhetta ed entro.
Gli altri stanno seduti sulle sedie. Su ognuna di quelle vuote c'è una cartella con un nome sopra. Trovo la mia. Non ne sono contento: mi hanno piazzato in prima fila a destra. Potrebbe essere maleducato da parte mia cambiare posto. Do un'occhiata alla fila e vedo che ci hanno disposti in ordine alfabetico dal punto di vista di chi ci parlerà stando di fronte a noi.
Quando siamo arrivati tutti sediamo in silenzio per due minuti e quaranta secondi. Poi sento la voce del signor Aldrin. — Sono tutti qui? — chiede alla donna sulla porta. Lei risponde di sì.