Читаем La verità del ghiaccio полностью

«Certo. Due su tre non è male» affermò Rachel, impassibile.

83

La sede centrale della NASA, un mastodontico parallelepipedo di vetro, era situata al numero 300 di E Street, a Washington. L'edificio era percorso da una rete di oltre trecento chilometri di cavi per trasmissione dati e conteneva migliaia di tonnellate di computer. Vi lavoravano millecentotrentaquattro dipendenti pubblici che controllavano il budget annuo dell'agenzia, quindici miliardi di dollari, e le operazioni quotidiane delle dodici basi NASA disseminate per la nazione.

Malgrado l'ora tarda, Gabrielle non fu sorpresa di vedere l'atrio del palazzo pieno di gente: una convergenza di giornalisti e inviati dei media entusiasti e personale NASA ancora più entusiasta. L'entrata sembrava un museo, dominata da modelli di enormi dimensioni di navicelle spaziali e satelliti appesi all'alto soffitto. Le troupe televisive, disseminate per tutto il pavimento di marmo, riprendevano i dipendenti NASA che arrivavano con gli occhi sbarrati dalla meraviglia.

Gabrielle passò in rassegna la folla ma non vide nessuno che assomigliasse al direttore della missione PODS, Chris Harper. Metà delle persone nell'atrio aveva il pass della stampa e l'altra metà portava al collo il badge con fotografia dei dipendenti della NASA. Gabrielle non aveva né l'uno né l'altro. Individuò una giovane con il cartellino NASA e le corse incontro.

«Salve, sto cercando Chris Harper!»

La donna la guardò in modo strano, come se il suo viso le risultasse familiare ma non riuscisse a collocarlo con precisione. «Ho visto passare il dottor Harper parecchio tempo fa. Credo che stesse per salire. Ma ci conosciamo?»

«Non credo. Come si arriva di sopra?» chiese Gabrielle, voltando la testa.

«Lei lavora per la NASA?»

«No.»

«Allora non può salire.»

«Ah. C'è per caso un telefono…»

«Ehi» disse la donna, d'un tratto aggressiva «so chi è lei. L'ho vista in tivù con il senatore Sexton. Stento a credere che abbia il coraggio…»

Gabrielle si era già dileguata nella folla. Sentiva alle sue spalle che la tizia rivelava a tutti la sua presenza.

"Splendido. Arrivata da due secondi, sono già sulla lista dei ricercati speciali."

Tenne la testa bassa e si diresse in fondo all'atrio. Sulla parete c'era una targa con l'elenco degli uffici. Scorse la lista, con la speranza di leggere il nome di Chris Harper, ma non c'erano nomi, solo i settori.

"Il PODS." Cercò qualcosa che ricordasse il Polar Orbiting Density Scanner. Nulla. Non si voltò nel timore di vedere una folla di furibondi dipendenti della NASA pronti a lapidarla. L'unico ufficio che le parve vagamente promettente era situato al quarto piano.

PROGETTO SCIENZE DELLA TERRA, FASE H

Earth Observing System (EOS)

Per evitare di fronteggiare la folla, si infilò in un andito su cui si affacciavano una fila di ascensori e una fontanella. Cercò il pulsante di chiamata, ma vide solo fessure. "Accidenti!" Per ragioni di sicurezza, l'uso degli ascensori era consentito esclusivamente ai dipendenti muniti di tesserino elettronico.

Un gruppo di giovani con il badge al collo arrivò di gran passo verso gli ascensori. Parlavano animatamente. Gabrielle finse di bere alla fontanella, guardandoli di sottecchi.

Un tizio brufoloso inserì il tesserino nella fessura e l'ascensore si aprì. Rideva e scuoteva la testa stupito. «Quelli del SETI devono essere impazziti!» esclamò, quando tutti furono saliti. «Da vent'anni sono lì con le antenne tese per cogliere qualunque segnale elettromagnetico al di sotto dei duecento milliJansky, quando la prova era sepolta qui sulla Terra, nel ghiaccio!»

Le porte si richiusero, inghiottendo quegli uomini.

Gabrielle si raddrizzò, chiedendosi che fare. Si guardò intorno in cerca di un citofono. Nulla. Forse avrebbe potuto rubare un cartellino, ma qualcosa le diceva che non sarebbe stato saggio. Comunque, la cosa essenziale era agire in fretta, perché la ragazza con cui aveva parlato stava già fendendo la folla insieme a una guardia di sicurezza.

Un uomo calvo e azzimato svoltò l'angolo e si diresse a grandi falcate verso gli ascensori. Gabrielle si chinò di nuovo sulla fontanella. L'uomo non parve notarla. Lei lo vide infilare il tesserino nella fessura. Un ascensore si aprì, e l'uomo vi salì.

"Vaffanculo" pensò lei, decidendo al momento. "Ora o mai più."

Si precipitò verso le porte che cominciavano a chiudersi e vi infilò la mano, poi il viso. Si riaprirono e lei entrò, sfoderando un sorriso. «Mai vista una cosa del genere» commentò eccitata, rivolta al calvo. «Dio mio, è pazzesco!»

L'uomo le lanciò un'occhiata perplessa.

«Quelli del SETI devono essere impazziti! Da vent'anni sono lì con le antenne tese per cogliere qualunque segnale elettromagnetico al di sotto dei duecento milliJansky, quando la prova era sepolta qui sulla Terra, nel ghiaccio!»

Il tipo parve sorpreso. «Be'… in effetti… è alquanto…» Notò che lei non portava il tesserino. «Scusi, ma…»

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