Per cui Boss fa in modo che nessun agente operativo sappia mai cose d’importanza cruciale. Un corriere non sa mai cosa trasporta. Io non so nulla di indirizzi politici. Non so il nome del mio boss. Non so di preciso se siamo un’agenzia del governo o un braccio di una multinazionale. So dove si trova la fattoria, ma lo sa parecchia altra gente… ed è (era) molto ben difesa. Ho visitato altri posti solo su veicoli a motore autorizzati, assolutamente chiusi; un Vma mi ha portata (per esempio) in un’area di addestramento che potrebbe trovarsi a un’estremità della fattoria. Oppure no.
— Maggiore, come sei riuscito a impadronirti di questo posto? Era difeso in modo piuttosto robusto.
— Le domande le faccio io, occhioni. Ripeti un po’ la storia di quel tale che ti ha seguito alla stazione.
Dopo parecchio tempo della stessa sinfonia, quando gli avevo detto tutto quello che sapevo e cominciavo a ripetermi, il Maggiore mi interruppe. — Tesoro, racconti una storia molto convincente, e io non credo a più di una parola su tre. Partiamo con la procedura B.
Qualcuno mi prese il braccio sinistro e ci conficcò un ago. Santi succhi benedetti! Speravo solo che quei fottuti dilettanti non fossero maldestri in quello come lo erano in altre cose; si fa presto a finire morti stecchini, con un’overdose. — Maggiore! È meglio che mi sieda!
— Mettetela su una sedia. — Qualcuno lo fece.
Per i mille anni seguenti feci del mio meglio per ripetere sempre la stessa identica storia, per quanto annebbiato fosse il mio cervello. A un certo punto cascai giù dalla sedia. Non mi rimisero a sedere; mi coricarono sul cemento freddo. Io continuai a blaterare.
Più tardi mi fecero un’altra iniezione. Mi venne il mal di denti e mi si surriscaldarono gli occhi, però adesso ero sveglia. — Signorina Friday!
— Sì, signore?
— Sei sveglia?
— Credo di sì.
— Mia cara, penso che tu sia stata indottrinata ipnoticamente a raccontare sotto droga la stessa storia che racconti tanto bene senza droghe. Un vero peccato, perché ora dovrò usare un altro metodo. Riesci a stare in piedi?
— Credo di sì. Posso provarci.
— Tiratela su. Non fatela cadere. — Qualcuno (due persone) obbedirono. Barcollavo, ma quelli mi reggevano. — Iniziate la procedura C, comma cinque.
Qualcuno pestò con lo stivale le dita nude dei miei piedi. Urlai.
Ehi, sentite! Se mai dovessero interrogarvi sotto tortura, urlate. La scena dell’Uomo-di-Ferro non fa che peggiorare le cose e le persone. Fidatevi di una che ci è passata in mezzo. Urlate a più non posso e crollate a velocità massima.
Non entrerò nei particolari di ciò che accadde nell’interminabile periodo seguente. Se avete immaginazione, vi darebbe la nausea, e parlarne mi fa venire voglia di vomitare. Infatti vomitai, diverse volte. Persi anche conoscenza, ma quelli continuarono a farmi rinvenire, e la voce continuò a interrogarmi.
A quanto sembra, a un certo punto io smisi di rinvenire, perché dopo un po’ ero di nuovo a letto (lo stesso letto, immagino) ed ero ancora ammanettata. Il mio corpo era un dolore unico.
Di nuovo quella voce, dritta sopra la mia testa. — Signorina Friday?
— Che diavolo vuoi?
— Niente. Se questo può consolarti, cara ragazza, tu sei l’unico soggetto che io abbia mai interrogato senza riuscire ad arrivare alla verità.
— Vai a rilassarti!
— Buonanotte, tesoro.
Maledetto dilettante! Ogni singola parola che gli avevo detto era la verità.
3
Qualcuno entrò e mi fece un’altra iniezione. Il dolore svanì, e mi addormentai.
Devo aver dormito a lungo. Ebbi sogni confusi, oppure periodi di semi-veglia, o tutte e due le cose. Almeno in parte dovette trattarsi di sogni: i cani, molti cani, parlano, però non tengono concioni sui diritti delle creature sintetiche viventi, giusto? I rumori di un tafferuglio e di gente che correva su e giù potrebbero essere stati veri. Ma a me parve tutto un incubo perché cercai di scendere dal letto e scoprii che non potevo nemmeno sollevare la testa, tanto meno alzarmi e partecipare alla festa.
A un certo punto decisi che ero davvero sveglia, perché le manette non mi imprigionavano più i polsi e non avevo nastro adesivo sugli occhi. Però non saltai su, e neanche aprii gli occhi. Sapevo che i primi secondi subito dopo aver aperto gli occhi sarebbero stati l’occasione migliore, forse l’unica, di fuggire.
Contrassi i muscoli senza muovermi. Sembrava tutto sotto controllo, anche se ero molto più che indolenzita qua e là, e in diversi altri punti. I vestiti? Meglio lasciar perdere: non solo non avevo idea di dove potevano essere i miei abiti, ma per di più non c’è tempo da perdere a rivestirsi quando si scappa per salvare la pelle.