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Eragon cercò Orik con lo sguardo, supplicando aiuto, ma il nano si limitò a guardarlo a sua volta, con un'espressione indecifrabile. La folla tacque, aspettando la sua risposta. Gli occhi della donna erano fissi su di lui. «Benedici questa bimba. Argetlam, benedicila» insisteva.

Eragon non aveva mai benedetto nessuno. Non era una cosa che si faceva alla leggera in Alagasëia, perché una benedizione poteva facilmente corrompersi e rivelarsi più una maledizione che un augurio, specie se pronunciata con cattivi intenti o senza convizione. Oso prendermi questa responsabilità? si chiese.

«Benedicila. Argetlam, benedicila.»

Finalmente deciso, cercò una frase o un'espressione da usare. Non gli venne in mente niente. Poi, in un lampo d'ispirazione, pensò all'antica lingua. Sì, sarebbe stata una vera benedizione, pronunciata con parole di potere, da chi aveva il potere.

Si chinò e si tolse il guanto dalla mano destra. Posò il palmo sulla fronte della neonata e disse: «Atra giilai un ilian tauthr ono un atra ono waise skòlir fra rauthr.» Le parole lo lasciarono inaspettatamente debole, come se avesse usato la magia. Si rimise il guanto e disse alla donna: «Questo è il massimo che posso fare per lei. Se esistono parole che hanno il potere di ostacolare la sventura, sono queste.».

«Ti ringrazio. Argetlam» mormorò la vecchia con un lieve inchino. Si accinse a ricoprire il visetto della bimba, quando Saphira sbuffò e abbassò la testa sulla piccola. L'anziana donna si irrigidì, trattenendo il fiato, Saphira sfiorò col muso la fronte della piccola, poi si rialzò lentamente. La folla emise un'esclamazione soffocata. Sulla fronte della bimba, nel punto in. cui Saphira l'aveva toccata, c'era .una macchia a forma di stella, bianca e lucente come il gedwéy ignasia di Eragon. La donna guardò Saphira con occhi umidi, colmi di gratitudine.

Saphira si alzò subito in volo, sferzando gli spettatori attoniti con lo spostamento d'aria prodotto dai suoi poderosi colpi d'ala. Mentre il terreno si allontanava sotto di loro, Eragon trasse un profondo sospiro e le abbracciò stretto il collo. Cosa hai fatto? le chiese.

Le ho dato speranza. E tu le hai dato un futuro.

Eragon si sentì travolgere da un'improvvisa solitudine, malgrado la presenza di Saphira. Quel luogo era così estraneo: per la prima volta si rese conto con dolore di quanto era lontano da casa. Una casa distrutta, ma era là che aveva lasciato il cuore. Che cosa sono diventato, Saphira? disse. Questo è il mio primo anno dell'età adulta, e già sono stato a consulto con il capo dei Varden. Galbatorix mi insegue e ho viaggiato col figlio di Morzan...e ora c'è anche chi pretende da me una benedizione! Quale saggezza posso dare alla gente che già essa non possegga? Quali gesta posso compiere che un esercito non possa compiere meglio? È una follia! Dovrei tornare a Carvahall, da Roran. Saphira non rispose subito, ma quando vennero, le sue parole furono gentili. Un cucciolo, ecco che cosa sei. Un cucciolo che lotta per sopravvivere nel mondo. Forse come età sono più giovane di te, ma sono molto più vecchia nei pensieri. Non preoccuparti di queste cose. Trova pace in ciò che sei e dove ti trovi. Le persone spesso sanno già cosa fare; a te spetta il compito di mostrare loro il modo... ecco la vera saggezza. E per quanto riguarda le gesta, nessun esercito avrebbe potuto dare la benedizione che hai dato tu.

Ma non era niente,protestò lui. Una sciocchezza.

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