L'elfa li squadrò uno per uno. I suoi occhi obliqui si soffermarono su Eragon. Poi si volse e s'incamminò verso il centro del campo di addestramento. I guerrieri cessarono di allenarsi e la fissarono a bocca aperta. Sul campo aleggiava un silenzio carico di timore reverenziale. Eragon la seguì, inesorabilmente attratto dal suo fascino. Saphira gli parlò, ma lui rimase sordo ai suoi commenti. Intorno all'elfa si formò un fitto capannello di gente, ma lei, giunta al centro del campo, si voltò, guardò soltanto Eragon negli occhi ed esclamò: «Rivendico il diritto di misurarmi con te. Sfodera la spada.»
Eragon fece un timido passo avanti, accettando a malincuore la sfida. Si sentiva esausto dopo tutte le magie evocate per i Gemelli, e soprattutto esposto allo sguardo di tanti spettatori. Per giunta. Arya non poteva essere in condizioni di duellare: erano passati soltanto due giorni da quando aveva preso il Nettare di Tunivor.
Si fronteggiarono al centro della cerchia di guerrieri. Arya impugnò la spada con la sinistra. L'arma era più sottile di quella di Eragon, ma altrettanto lunga e affilata. Il giovane estrasse Zar'roc dal lucido fodero e mantenne la lama rossa puntata verso il basso. Per un lungo istante rimasero immobili, elfa e umano, a studiarsi a vicenda. A Eragon balenò in mente il ricordo dei tanti duelli con Brom.
Avanzò cauto. Con uno scatto fulmineo, invece. Arya si lanciò verso di lui, mirando alle costole. Eragon parò il colpo d'istinto, e le loro lame cozzarono creando una pioggia di scintille. Zar'roc schizzò da un lato come una mosca infastidita. L'elfa non approfittò della breccia nella difesa dell'avversario, ma piroettò a destra, i lunghi capelli fluttuanti, e cercò di colpire l'altro fianco. Eragon riuscì a stento a parare il colpo e indietreggiò frenetico, sbalordito dalla ferocia e dalla velocità dell'elfa.
Troppo tardi ricordò gli ammonimenti di Brom, secondo il quale anche l'elfo più debole poteva facilmente sconfiggere un umano. Aveva le stesse probabilità di sconfiggere Arya che aveva avuto con Durza. Lei attaccò ancora, questa volta mirando alla testa. Lui si abbassò sotto la lama affilata come un rasoio. Ma allora perché lei stava… giocando con lui? Per qualche secondo fu troppo impegnato a difendersi per capire, poi comprese:
Impegnati in una danza feroce, i loro corpi si univano e si separavano al ritmo delle spade. A volte quasi si toccavano, i muscoli tesi ad appena un soffio di distanza, ma poi lo slancio stesso li divideva, facendoli volteggiare per poi incontrarsi ancora. Le loro forme si allacciavano e si separavano come spirali di fumo sospinte dal vento.
Eragon non avrebbe mai potuto dire quanto durò il duello. Sembrava che il tempo si fosse dissolto per lasciare spazio soltanto ad azione e reazione. Zar'roc diventava sempre più pesante e i muscoli del braccio gli bruciavano a ogni colpo. Alla fine, mentre lui tentava un affondo. Arya si spostò appena di lato e la punta della sua spada si posò sullo zigomo di Eragon con una rapidità sovrannaturale.
Eragon s'impietrì quando sentì il gelido metallo a contatto con la pelle. I muscoli gli tremavano per lo sforzo. A stento si accorse del cupo brontolio emesso da Saphira e delle acclamazioni rauche dei guerrieri in circolo. Arya abbassò la spada e la ripose nel fodero. «Hai superato la prova» disse con somma calma in mezzo al fracasso.
Frastornato, Eragon raddrizzò la schiena lentamente.
Fredric era di fianco a lui e gli dava grandi pacche sulle spalle. «Un capolavoro di scherma! Ho perfino imparato qualche nuova mossa, guardando voi due. E l'elfa... meravigliosa!»
Eragon si rivolse a Orik. «Devo andare. Più tardi tornerò sulla rocca.» Rinfoderò Zar'roc e salì in groppa a Saphira. La dragonessa si alzò in volo sul campo, che si trasformò in un mare di facce tutte rivolte verso di lei. .