Eragon scosse il capo e scoppiò a ridere.
Solembum si stiracchiò affondando le zampe nel dorso squamoso di Saphira.
Il gatto marinaro si rifiutò di dare altre spiegazioni, malgrado le insistenze di Eragon. Il giovane si arrese e si accovacciò con le spalle appoggiate al fianco di Saphira. Le fusa di Solembum erano un sottofondo regolare, che gli pulsava nella testa.
LA PROVA DI ARYA
L
a mattina del terzo giorno a Tronjheim, Eragon si alzò riposato, traboccante di nuove energie. Allacciò Zar'roc alla cintura e si mise a tracolla l'arco e la faretra. Dopo un volo esplorativo con Saphira all'interno del Farthen Dùr, incontrò Orik vicino a uno dei quattro cancelli
principali di Tronjheim. Eragon gli chiese di Nasuada.
«Una ragazza straordinaria» commentò Orik con un'occhiata di disapprovazione alla spada. «È profondamente devota a suo padre, e lo aiuta in ogni occasione. Credo che faccia per Ajihad più di quanto lui non sappia... ci sono state volte in cui ha manovrato i suoi nemici senza nemmeno rivelarglielo.»
«Chi è sua madre?»
«Non lo so. Ajihad era solo quando arrivò con Nasuada appena nata qui nel Farthen Dùr. Non ha mai detto da dove venivano.»
Eragon lo riferì a Orik, che si lisciò la barba con aria perplessa. «Forse non è una buona idea. Ci sarà parecchia gente ai campi; potreste attirare troppa attenzione.» Saphira ringhiò.
Il frastuono dei combattimenti li raggiunse ancora prima che arrivassero ai campi: il clangore dell'acciaio contro l'acciaio, i sibili e i tonfi sordi delle frecce scagliate su bersagli imbottiti, i crepitii e gli schiocchi delle aste di legno, e le grida degli uomini impegnati nei duelli di allenamento. Il rumore era confuso, ma ogni gruppo seguiva il proprio ritmo e il proprio schema. La maggior parte del terreno era occupata da un folto gruppo di fanti che lottavano con scudi e alabarde alte quanto un uomo, schierati in formazione. Poco lontano si addestravano centinaia di guerrieri armati di spade, mazze, picche, bastoni, mazzafruste, scudi di ogni forma e dimensione; ce n'era uno che brandiva un forcone. Quasi tutti i combattenti indossavano cotte di maglia ed elmetti rotondi; le armature complete non erano comuni. C'erano tanti nani quanti umani, anche se i due gruppi si tenevano separati. Alle spalle dei guerrieri, una lunga fila di arcieri si allenava a scoccare frecce contro grigi pupazzi imbottiti.
Prima che Eragon avesse il tempo di chiedersi che cosa fare, un uomo barbuto, la testa e le spalle massicce coperte da un lungo cappuccio di maglia, si avvicinò a grandi passi. Il resto del suo corpo era protetto da rozzi indumenti di pelle di bue ancora coperti di peli. Una spada enorme - lunga quasi quanto quella di Eragon - gli pendeva a tracolla. L'uomo scoccò una rapida occhiata a Saphira ed Eragon, come per valutare quanto fossero pericolosi, poi borbottò: «Knurla Orik. Sei stato via un sacco. Non mi è rimasto nessuno per allenarmi.»
Orik sorrise. «Forse perché massacri tutti con quel tuo spadone mostruoso.»
«Tutti tranne te» lo corresse l'altro.
«Questo perché sono più veloce di quel gigante che sei.»
L'uomo guardò di nuovo Eragon. «Mi chiamo Fredric. Ho ricevuto l'ordine di scoprire che cosa sai fare. Quanto sei forte?»