— Credo che tu abbia ragione — convenne Nia.
Gli alberi misero foglie di un colore azzurro chiaro e fra le canne rinsecchite nel lago sbocciavano fiori. Erano gialli e arancione. Altri fiori, bianchi e minuscoli, comparvero ai margini della pianura. Nia incominciò a sentirsi irrequieta. La smania primaverile, pensò. Iniziò così a radunare provviste.
— Perché io non provo la smania? — domandò Angai.
— Tu sei più giovane di me. — Nia si chinò e osservò gli oggetti che aveva preparato durante l’inverno: lunghi coltelli e aghi, fermagli, lime e punteruoli. Qual era il dono adatto?
— Sono più giovane solo di mezzo anno — disse Angai. — Non è molto.
— Perché lo chiedi a me? Che cosa ne so? Domandalo a tua madre.
Angai se ne andò. Nia comprese che era in collera. Peccato. Allungò la mano e raccolse un coltello. Aveva una buona lama, fatta di ferro che era stato piegato e ripiegato. Questo sarebbe andato bene, pensò. E anche aghi e un fermaglio, e magari del cuoio della conciapelli.
Si alzò in piedi. E ora, del cibo per il viaggio.
Quella notte sognò di Anasu e di cavalcare per la pianura. Si svegliò, sentendosi più smaniosa di prima. Sollevò il lembo della tenda e lo fissò, lasciando entrare la luce del sole. L’aria era tranquilla e mite e odorava della vegetazione nuova. Pensò: partirò oggi, prima che la smania diventi ancora più forte. Cavalcherò finché non dimenticherò questo inverno terribile. Si voltò a guardare Hua.
— Lo so — disse la vecchia. — Qualche volta vorrei provare ancora la smania. Allora penso: devo essere davvero pazza per desiderare una cosa del genere. In ogni caso, va’.
Nia riempì le bisacce da sella e andò in cerca del suo cornacurve preferito. A mezzogiorno era già in viaggio. Il cornacurve era irrequieto e voleva correre e Nia glielo permise. Dopo un po’, l’animale rallentò, poi si fermò. Nia si guardò attorno. Era sola. Da ogni parte, la pianura si estendeva ondulata fino all’orizzonte. Trasse un respiro profondo, poi espirò. Il cornacurve agitò le orecchie.
Dove voleva andare? Non a ovest, decise. Là c’erano la mandria e gli uomini maturi. No. Sarebbe andata a sud, verso le colline dove stavano i giovani. Lanciò uno sguardo al sole e poi alla propria ombra, quindi diresse il cornacurve verso sud.
Viaggiò per tre giorni. Il tempo si mantenne sereno. Non incontrò neppure una persona, nulla all’infuori degli uccelli e dei piccoli animali che vivevano sulla pianura. Pian piano la smania andava facendosi più forte. Era una sensazione quasi piacevole. Cominciò a chiedersi che genere di uomo avrebbe incontrato quell’anno.
Il quarto giorno il cielo si annuvolò e si levò il vento. A mezzogiorno Nia arrivò alle colline meridionali. Erano basse, con parecchi affioramenti di roccia. C’erano alberi sulle colline. Una specie era in fiore. Qui e là, sui pendii azzurrognoli, c’erano chiazze di giallo. Nia trovò impronte di animali che costeggiavano un corso d’acqua. Conducevano a est, fra le colline. Seguì quella pista, sentendosi un po’ inquieta. Non era abituata ai luoghi dove il cielo era limitato.
— Oh Madre delle Madri, abbi cura di me — bisbigliò.
Più in alto, i rami si muovevano. Le foglie stormivano, un rumore forte, diverso dal sommesso fruscio della vegetazione che si muoveva sulla pianura.
Nia pregò la Signora della Fucina. — Riportami a casa sana e salva, o santa.
Nel tardo pomeriggio incontrò un uomo. Era in cima a una collinetta, seduto su una roccia. Non c’erano alberi nelle vicinanze, solo arbusti dalle piccole foglie verdeazzurre. Il suo cornacurve stava brucando un arbusto.
Nia trattenne l’animale. Il suo cuore cominciò a battere all’impazzata.
— Mi sembrava di aver visto una donna. Che sorpresa! Nia, sei tu?
Lei lo guardò. Era bruno scuro e i suoi occhi erano grigi. Un colore molto insolito. — Enshi? — Notò che la sua tunica era sbrindellata. Appariva magro.
— Come sta mia madre? E tu che ci fai qui? Le donne non si spingono mai così a sud.
Lei aprì la bocca per rispondere. Enshi si alzò, poi saltò giù dalla roccia. — Parliamo più tardi. C’è un odore che emana da te, Nia. Non so dirti l’effetto che mi fa. — Tese una mano. — Andiamo.
La sua pelliccia scura scintillava al sole. Tutt’a un tratto Nia si rese conto di quanto fosse bello. Smontò e legò il suo cornacurve, poi prese il mantello.
Andarono fra i cespugli e si accoppiarono lì. Il terreno era sassoso. Le foglie avevano un fresco profumo primaverile. Quanto a Enshi, era un po’ impacciato, ma perfettamente all’altezza.
Quando ebbero finito, lui si rigirò sulla schiena. — È tutto qui, allora? Mi aspettavo di più. Tuttavia… — La guardò, gli occhi grigi semichiusi. Allungò una mano e la toccò con dolcezza. — Che pelliccia morbida! — Fece un sommesso suono di gola, una specie di
Nia tirò su il mantello in modo da coprirli entrambi. Osservò i cornacurve, poi il cielo. Il sole era sparito ma le nuvole avevano ancora una radiosità bianca e di un oro tenue. Si sentiva assonnata e felice.