C’era una creatura lì ferma ai margini della radura, a forse venti metri di distanza. Un bipede. Era all’incirca della mia statura, tarchiato e coperto di pelame. Il pelo era di un bruno scuro, quasi nero. La creatura aveva due braccia, una testa e una faccia. Ero troppo lontana per distinguerne le fattezze. La creatura, uomo, donna o animale che fosse, indossava un gonnellino e in una mano teneva un coltello.
— Sono estremamente pacifica. — Tenevo le mani tese all’infuori e il tono della mia voce era sommesso e uniforme. — Non ho cattive intenzioni.
La creatura disse qualcosa che io, naturalmente, non riuscii a capire. Ma il tono non mi piaceva. Era forte e aveva un che di aspro.
— Non ho cattive intenzioni.
La creatura sollevò il coltello e fece un passo avanti. Io indietreggiai.
— Non possiamo discuterne? — Mi concentrai nel mantenere un tono di voce sommesso e conciliante. Evitavo di incontrare gli occhi della creatura. Fra molte specie, compresa la mia, uno sguardo diretto era una sfida.
La creatura fece un altro passo nella mia direzione. Decisi di andarmene.
— D’accordo. Hai vinto. Addio.
Attraversai arretrando la radura. La creatura mi seguì per un tratto, poi si fermò accanto alla rastrelliera. Quando arrivai al limitare della radura, mi fermai.
— Ne sei sicuro?
La creatura sollevò più in alto il coltello e sbraitò qualcosa. Mi voltai e mi allontanai a tutta velocità. Avevo la pelle della schiena che formicolava. Continuavo a immaginare la lama di un coltello che vi si conficcava.
Quando arrivai in cima alla successiva collina, mi voltai a guardare. La pista era deserta. Non c’era niente che mi seguisse.
Bene. E adesso?
Forse la creatura che avevo incontrato era un eremita. Senza dubbio dovevano esserci altri membri della specie che fossero amichevoli o curiosi.
Proseguii, andando sempre verso l’interno. Incominciavo a notare dei rumori: un sommesso ronzio che immaginai provenisse da pseudoinsetti nascosti fra gli alberi. Cose simili a uccelli svolazzavano di ramo in ramo. Quando erano fermi, emettevano mugolii o fischi. Mi resi conto, per la prima volta, che la giornata era mite e radiosa. Soffiava una leggera brezza. Nel cielo, che era di un intenso verdeazzurro, si muovevano alticumuli. L’aria odorava di acqua salmastra.
Il mio pensiero corse alla mia infanzia nel Libero Stato delle Hawaii, sull’isola di Kauai. Ero vissuta in una grande casa, a cinque minuti dall’oceano. Nove genitori si erano presi cura di me, e c’erano stati una dozzina di fratelli e sorelle con cui giocare. Sarebbe dovuto essere un periodo felice. Ricordavo la luce del sole, fiori, volti gentili, una spiaggia bianca, acqua azzurra, e niente risacca. Ma ero stata una bambina imbronciata, sempre ansiosa di andarsene.
Nel pomeriggio camminavo ormai attraverso una foresta acquitrinosa. Qui gli alberi erano alti e diritti. Il loro fogliame scuro non lasciava filtrare la luce del sole. L’aria era ferma e fresca e aveva una nuova fragranza: il profumo della foresta. Era intenso e caratteristico, diverso da qualunque odore avessi sentito in precedenza.
Pensavo che l’avrei riconosciuto se mai l’avessi sentito di nuovo, sebbene non ne fossi assolutamente certa. Era molto più facile ricordare qualcosa se aveva un nome e una descrizione. Per il momento, avrei chiamato quella fragranza "diversa" e "gradevole".
Nel tardo pomeriggio arrivai in prossimità di un villaggio. Dapprima sentii l’odore del fumo di legna, poi vidi delle abitazioni davanti a me fra gli alberi. Non riuscivo a distinguerle chiaramente. La foresta era troppo piena di ombre. Qui e là la luce di un fuoco brillava attraverso una porta o una finestra.
Mi fermai e riflettei su cosa fare. Non sarebbe servito a nulla aggirarsi furtivamente. Se mi avessero scoperta a spiare, mi sarei trovata davvero nei guai. La cosa migliore, la cosa che avevo fatto nella California meridionale e nel New Jersey, era di entrare direttamente.
Beninteso, quella tecnica non aveva funzionato nel New Jersey. Laggiù gli abitanti avevano cercato di sacrificarmi al loro dio, il Distruttore delle Città. Decisi di non pensare a quell’episodio. Passai ancora un minuto o due a farmi coraggio, poi entrai nel villaggio.
Ai margini c’erano piccole capanne, costruite in legno. Erano molto distanziate fra loro, come se gli individui che vi abitavano non fossero troppo amichevoli. Più avanti, gli edifici erano grandi e lunghi, disposti vicini gli uni agli altri. Alcuni bambini, nudi a parte la pelliccia, correvano nelle strade. Un gruppetto di tre mi vide e si fermò a fissarmi a bocca aperta. Erano abbastanza vicini da permettermi di vedere le loro facce: rotonde, piatte e coperte di pelo. Ogni faccia aveva una bocca, un naso e un paio di occhi gialli.
— Salve — dissi in tono cordiale.
I bambini strillarono e corsero via.
Proseguii fra le case. Più volte passai accanto a persone grandi. Adulti. Mi fissavano, ma non dissero niente. Non fecero nessun gesto minaccioso.