Lo additai a mia volta. — Nahusai.
La risposta fu un gesto, un rapido movimento della mano. Il mio intuito mi disse che significava "sì".
Bene, allora. Conoscevo una parola. Si riferiva al mio ospite, ma che cosa significava? Era un nome, un titolo o un termine generico come "essere umano"?
Col tempo l’avrei capito.
Entrò una persona: il suonatore di flauto. Indossava la stessa tunica della sera precedente e gli stessi braccialetti di rame.
— Yohai — disse il mio ospite e puntò il dito.
Il suonatore di flauto ci guardò.
Era un nome. Ne ero quasi certa.
Yohai preparò la colazione: una poltiglia di un bruno grigiastro. Aveva un gusto aspro. Ne appresi il nome:
Che fosse un giardino? Pensai di no. Le piante crescevano in modo disordinato e avevano un aspetto selvatico. Era uno spiazzo invaso dalle erbacce.
Al centro di quel terreno aperto sorgeva una costruzione delle dimensioni più o meno di uno sgabuzzino. Non appena vi arrivai vicino, mi resi conto di che cosa fosse. Una latrina. Puzzava tremendamente. Ci pensai su per un po’, quindi me ne servii. Dopo chiesi come lo chiamassero.
—
Yohai gesticolò di nuovo e io lo seguii. Attraversammo il villaggio. Le strade erano piene di bambini. Incontrammo solo alcuni adulti. I bambini smettevano di giocare e mi fissavano. Gli adulti facevano finta che non ci fossi. Avevo la sensazione che Yohai fosse a disagio e mi sentivo un po’ a disagio anch’io. Ma la giornata era bella, mite e radiosa. Soffiava un leggero vento incostante che portava il profumo della foresta e quello molto debole dell’oceano. Non era una giornata in cui stare in ansia, e non lo feci.
Arrivammo alla fine del villaggio. Lì c’erano degli orti: appezzamenti rettangolari lunghi e stretti che si estendevano fra le case e la foresta. Ciascuno di questi era recintato da uno steccato di legno, abbastanza basso da poter vedere al di sopra. All’interno degli steccati c’erano persone che lavoravano, una o due in ogni orto. Si muovevano fra file di piante. Alcune strappavano le erbacce. Altre raccoglievano. Altre ancora versavano acqua da recipienti che somigliavano ad anfore.
Ecco la risposta a uno dei miei interrogativi. Quella società era agricola, almeno in una certa misura.
Entrammo in un orto. A un’estremità c’era un albero. Yohai mi condusse alla sua ombra e indicò il terreno. Mi sedetti.
Il mio compagno, o compagna che fosse, incominciò a lavorare mentre io mi guardavo attorno. In lontananza, verso est, c’erano cumuli frastagliati nel cielo. Un temporale per quella sera. Nell’orto accanto c’era un bimbo, piccolo e peloso, seduto sotto una pianta. Mentre lo osservavo, sollevò la manina cercando di afferrare una delle foglie. Ma la foglia era troppo in alto.
A poca distanza, un adulto versava acqua. Svuotò il recipiente, poi si sedette, si rassettò e si girò. Sotto la sua tunica scorsi il rigonfiamento dei seni. Due seni. Era la prima persona che vedevo che non avesse il torace piatto. Era chiaramente una madre che allattava.
La donna mi guardò, poi fece un gesto: un fendente verticale. Ebbi la sensazione che fosse ostile, così distolsi lo sguardo.
A mezzogiorno Yohai mi raggiunse. Sedemmo insieme e mangiammo del pane. Il pane era piatto e dal gusto aspro. Più tardi Yohai mi insegnò alcune parole: pane, cielo, albero.
Tornammo verso casa. Il mio ospite era lì. Yohai se ne andò. Mi sedetti e imparai altre parole. Nel tardo pomeriggio sentii il brontolio del tuono. Incominciò a piovere; dapprima una pioggerellina, poi un vero acquazzone. Io e il mio ospite cenammo. Era la stessa roba della colazione:
Più tardi restammo seduti senza parlare. Il sole era tramontato. La pioggia luccicava, illuminata dalla luce del fuoco: una cortina argentea contro la porta. Mi appoggiai a un palo. Il mio ospite se ne stava chino accanto al fuoco, raggomitolato nella veste arancione. Ogni tanto muoveva una mano. Rigirava un braccialetto o picchiettava sul terreno. Era una persona con un problema grave, e avevo la sensazione che fossi io il problema. Yohai mi aveva dato l’impressione di un’audacia nervosa, di qualcuno che ritenesse doveroso fare una cosa che non desiderava fare. "Vedete che cosa abbiamo qui. Vedete il nostro ospite. Vedete la persona di cui non ci vergognamo." Quello era stato il messaggio che intendeva trasmettere quando mi aveva condotta nell’orto. Che cosa stava succedendo esattamente? Decisi di non fare congetture. Le informazioni che avevo erano troppo scarse e non potevo essere sicura di comprendere qualcosa di quel popolo.