Ma ora abbiamo fatto un passo indietro. Non abbiamo rintracciato alcun segno di vita nel Sistema Solare, né i grandi radiotelescopi hanno captato alcun segnale; e alcuni scienziati hanno cominciato a dire: «Forse siamo davvero soli nell’universo…». Il dottor Frank Tipler, che è forse l’esponente più noto di questa scuola di pensiero, è entrato in polemica (senza dubbio deliberatamente) con i seguaci di Sagan dando a uno dei suoi scritti questo titolo provocatorio: «Non Esistono Extraterrestri Intelligenti». Carl Sagan e altri sostengono (e io mi dichiaro d’accordo con loro) che è di gran lunga troppo presto per saltare a conclusioni così estreme.
Nel frattempo, la polemica infuria; come qualcuno ha detto, entrambe le risposte incutono un reverenziale timore. La disputa potrà essere risolta solo portando delle prove; l’uso della logica, ancorché plausibile, da solo non basta. Vorrei riprendere il dibattito tra dieci o vent’anni, lasciando ai radioastronomi, simili a cercatori d’oro che setacciano la sabbia, il tempo di vagliare tra gli infiniti rumori che ci vengono dal cielo.
Con questo romanzo ho cercato, tra le altre cose, di creare un’opera narrativa realistica sul tema interstellare, così come in Preludio allo spazio (1951) ricorsi a tecnologie note o prevedibili per descrivere il primo viaggio compiuto dagli uomini fuori dalla Terra. Nulla vi è in questo libro che contesti o neghi i principi della fisica che conosciamo; l’unica estrapolazione azzardata è il «motore quantico», la cui paternità è comunque del tutto rispettabile (si veda Fonti e Ringraziamenti). Dovesse invece rivelarsi il sogno di un visionario, rimangono comunque diverse possibilità alternative; e se riuscissimo a immaginarle perfino noi, primitivi del ventesimo secolo, senza dubbio la scienza del futuro scoprirà qualcosa di meglio.
ARTHUR C. CLARKE Colombo, Sri Lanka, 3 luglio 1985
I. THALASSA
1. La spiaggia di Tarna
Mirissa aveva capito che Brant era arrabbiato quando la barca non era ancora uscita dalla risacca. Già la tensione del corpo mentre stava al timone — e anche il fatto stesso che non avesse ceduto la barra per quell’ultimo tratto all’abile Kumar — stavano a dimostrare che era successo qualcosa.
Mirissa uscì da sotto l’ombra delle palme e s’avviò lenta lungo la spiaggia, i piedi che sprofondavano nella sabbia umida. Kumar stava già ammainando la vela. Il «fratellino» di Mirissa, alto ormai quasi quanto lei e parecchio muscoloso, la salutò agitando un braccio. Quante volte lei aveva desiderato che Brant avesse il buon carattere di Kumar, che nulla era capace di scuotere…
Brant non aspettò che la barca s’incagliasse nella sabbia, ma saltò in acqua e, immerso fino al petto, venne a riva sguazzando furibondo. Le mostrò un contorto pezzo di metallo circondato da spezzoni di filo di ferro.
«Guarda!» vociò. «L’hanno fatto un’altra volta!»
Indicò con la mano libera verso nord.
«Questa volta… Questa volta non se la cavano così! E che il sindaco dica quel che diavolo le pare!»