Depose il ricevitore e pensò alla prossima mossa. Gordon Palfrey aveva detto che John era già uscito dall’ufficio; dunque, sarebbe arrivato a casa da un momento all’altro. Breton salì di corsa in camera a prendere la pistola. Per rendere plausibile l’ipotesi che John Breton avesse piantato in asso moglie e lavoro, bisognava liberarsi anche degli indumenti e di quelle cose che presumibilmente avrebbe dovuto portare con sé. Denaro! Jack Breton guardò l’ora. Ormai le banche erano chiuse. Esitò, domandandosi se Kate non si sarebbe insospettita scoprendo che John se n’era andato senza quattrini. Era probabile che non se ne accorgesse, per qualche giorno e magari per qualche settimana; ma alla fine l’avrebbe scoperto, e avrebbe trovato strana la cosa.
D’altra parte, Kate non aveva mai badato molto al denaro ed era probabile che non avrebbe avuto la voglia né la capacità di indagare a fondo sulle transazioni finanziarie che John avrebbe dovuto fare. Jack decise che l’indomani, per prima cosa, sarebbe andato in banca, fingendosi John, per far trasferire una grossa cifra su una banca di Seattle. In seguito, se necessario, avrebbe ritirato delle somme da quel nuovo conto, per rendere più reale la sua finzione.
Andò a prendere nel ripostiglio due valigie a soffietto, le riempì di abiti, e le portò in anticamera. La pistola gli batteva contro l’anca a ogni passo. Una parte della sua mente continuava a dubitare che sarebbe stato capace di adoperarla contro John Breton, ma l’altra era selvaggiamente esaltata dall’idea che quel gesto avrebbe segnato il culmine di nove anni di appassionata dedizione; e ormai non poteva più tornare indietro. Non era lui che aveva creato John Breton, che gli aveva prestato nove anni di vita non previsti nello schema cosmico? E adesso era venuto il momento di farsi restituire il prestito. “Io do” gli venne spontaneamente fatto di pensare “e io tolgo…”
D’improvviso sentì un freddo mortale. Tremando tutto, rimase a guardarsi nello specchio dell’anticamera, finché il rombo sommesso della Turbo-Lincoln di John Breton non venne a rompere il silenzio della casa. Dopo un minuto, John entrò dalla porta posteriore e si accigliò notando le due valigie.
— Dov’è Kate? — Per tacito accordo, i due Breton avevano deciso di tralasciare le formalità dei saluti.
— È a cena dai Palfrey — rispose a fatica Jack. Avrebbe ucciso John fra pochi istanti, ma il pensiero di vedere quel corpo familiare squarciato dai proiettili lo sconcertava.
— Vedo. — John lo guardava attentamente. — Cosa fai, con le mie valigie?
Jack strinse le dita sul calcio della pistola e scosse la testa, senza riuscire a parlare.
— Hai un’aria strana — osservò John. — Ti senti poco bene?
— Me ne vado — mentì Jack, in lotta con l’intima certezza che non sarebbe mai riuscito a premere il grilletto. — Ti restituirò poi le valigie. Ho preso anche qualche vestito. Ti secca?
— No. — Gli occhi di John tradivano il sollievo. — Ma allora, vuol dire che resti nella nostra corrente temporale?
— Sì… mi basterà sapere che Kate è viva e vicina.
— Oh! — Sulla faccia quadrata di John Breton si dipinse un’espressione delusa, come se si fosse aspettato di sentire parole diverse. — Parti subito? Vuoi che ti chiami un tassi?
Jack assentì e John alzò le spalle e si voltò per andare al telefono. Una gelida paralisi attanagliava i muscoli di Jack, mentre estraeva la pistola. Si avvicinò all’altro se stesso, e gli calò il calcio sulla testa, proprio dietro l’orecchio. Mentre le ginocchia di John si piegavano, Jack inciampò e gli cadde addosso. Si ritrovò a faccia a faccia con lui. John socchiuse gli occhi ottenebrati dal dolore, e Jack vi lesse l’orrore.
— Ah, è così — mormorò John in un soffio, quasi soddisfatto, come un bambino che sta per addormentarsi. Chiuse gli occhi, ma Jack Breton tornò a colpirlo parecchie volte, coi pugni, singhiozzando mentre cercava di distruggere l’immagine della propria colpa.
Quando tornò in sé, rotolò lontano da John e rimase accosciato accanto al corpo inerte, ansimando pesantemente. Poi si alzò, salì in bagno e si piegò sul lavandino. Il metallo dei rubinetti era fresco contro la sua fronte come quella volta da ragazzo, quando aveva fatto la sua prima disastrosa esperienza con i liquori, ed era corso a piegarsi sul lavandino, lasciando liberare il suo stomaco. Ma questa volta non riuscì a ottenere sollievo così a buon prezzo.
Breton si sciacquò la faccia con l’acqua fredda, si asciugò e dedicò una cura particolare alle nocche spellate. Aprì l’armadietto farmaceutico, e gli cadde lo sguardo su una bottiglietta piena di triangoli color verde chiaro, che avevano l’aspetto generico e inconfondibile delle pastiglie di sonnifero. Breton lesse l’etichetta e ne ebbe la conferma.