Non appena ebbe individuato acusticamente e rilevato la posizione delle balene, il robot procedette con le registrazioni ottiche. Nella sua banca dati erano memorizzate la forma delle pinne caudali e la sagoma delle balene, unite alle pinne dorsali, alle pinne pettorali e agli aspetti significativi del corpo di singoli individui. Stavolta la macchina ebbe più fortuna. L'occhio elettronico scansionò le pinne caudali che si alzavano e abbassavano davanti a lui e ne identificò velocemente una come quella di Lucy. Erano infatti stati inseriti tutti i dati delle balene che avevano partecipato agli attacchi, in modo che il robot sapesse quali erano gli animali cui doveva dedicare tutta la propria attenzione.
L'URA corresse la rotta di qualche grado.
Il canto delle balene permetteva contatti vocali a oltre cento miglia marine di distanza. Le onde sonore in acqua si diffondevano cinque volte più velocemente che nell'aria. A Lucy piaceva nuotare, veloce e libera.
Ma lui non l'avrebbe più persa.
26 aprile
Kiel, Germania
La porta di ferro si aprì scorrendo lateralmente e lo sguardo di Bohrmann spaziò sulla gigantesca costruzione del simulatore.
Il simulatore di abissi marini sembrava aver portato la natura a una dimensione comprensibile per l'uomo, senza doverla esiliare nel limbo della pura teoria. Anche se su scala ridotta, era possibile controllare il mare. Il macchinario rappresentava un mondo di seconda mano, una di quelle copie idealizzate di cui gli uomini si fidavano più che della realtà: chi voleva sapere qualcosa sulla
Ogni volta che entrava nel padiglione, la mente di Bohrmann era percorsa dagli stessi pensieri: non saremo mai certi di ciò che è possibile, ma possiamo sapere da cos'è meglio stare alla larga. Eppure non ne vogliamo sentir parlare.
Due giorni dopo l'incidente sulla
Erwin Suess aspettava Bohrmann davanti al pannello di controllo. Era in compagnia di Heiko Sahling e della biologa molecolare Yvonne Mirbach, specializzata sui batteri degli abissi marini. «Abbiamo preparato una simulazione al computer», disse Suess. «Non tanto per noi, quanto perché tutti possano capire.»
«Quindi non è più solo un problema della Statoil», mormorò Bohrmann.
«No.»
Suess mosse il cursore sul monitor e cliccò su un'icona. Apparve una raffigurazione grafica. Mostrava la sezione di una copertura di idrati spessa cento metri, che faceva da coperchio a una bolla di gas.
Sahling indicò un sottile strato scuro sulla superficie. «Quelli sono i vermi», disse.
«Passiamo all'ingrandimento», spiegò Suess.
Apparve una sezione della superficie di ghiaccio. Ormai i vermi si riconoscevano a uno a uno. Suess ingrandì ancora l'immagine finché un singolo esemplare non occupò quasi tutto lo schermo. Il verme era stilizzato e solo alcune parti avevano colori vivaci.
«Il rosso rappresenta i solfobatteri», disse Yvonne Mirbach. «Il blu, gli archaea.»
«Endosimbionti ed ectosimbionti», mormorò Bohrmann. «Il verme è conficcato nei batteri, che a loro volta s'insediano su di lui.»
«Esatto. È un'associazione. Batteri di specie diversa che collaborano.»