«No. Danno all'intruso un colpo col naso e così attaccano alla sua tuta un filo arrotolato, alla cui estremità c'è un galleggiante. Al galleggiante è collegata una luce stroboscopica, che indica la posizione del sommozzatore. Tutto il resto lo facciamo noi. Lo stesso accade con le mine. Gli animali informano del ritrovamento. In alcuni casi, s'immergono con un magnete e lo piazzano sulla mina; al magnete è attaccata una corda che riportano in superficie. Se la mina non è ancorata troppo saldamente, non dobbiamo far altro che tirare il filo. Fine della storia. Le orche e i beluga riescono a riportare in superficie i siluri da un chilometro di profondità… È impressionante. Per l'uomo, la ricerca delle mine è pericolosissima. Ti possono scoppiare in faccia, certo, ma soprattutto devi sempre cercarle nei pressi delle rive e in mezzo alle esplosioni, perché si viene bombardati dalla terraferma.»
«E le mine non uccidono gli animali?»
«Ufficialmente per quel motivo non ne sono morti. In realtà, ci sono eccezioni, ma in una misura tollerabile. In ogni caso, all'inizio avevo solo sentito parlare di MK0, e l'avevo considerata una fandonia. Non si tratta di un sistema vero e proprio, ma del nome in codice per una serie di programmi ed esperimenti condotti in luoghi sempre diversi e con animali sempre nuovi. Gli animali di MK0 non vengono mai in contatto con gli altri, però talvolta elementi dei sistemi normali vengono reclutati da MK0 e spariscono per sempre.» Greywolf fece una pausa. «Io ero un buon addestratore. MK6 è stato il mio primo sistema. Prendevamo parte a ogni grande manovra. Nel 1990 mi sono assunto anche la responsabilità di MK7 e tutti mi hanno fatto i complimenti. Poi a qualcuno è venuto in mente che forse avrei dovuto saperne un po' di più.»
«Di MK0.»
«Naturalmente sapevo che le focene della Marina avevano ottenuto un grande successo nei primi anni '70 in Vietnam, dove avevano protetto il porto a Cam Ranh Bay, bloccando i sabotaggi sottomarini dei vietcong. È la prima cosa che ti raccontano in Marina, e ne sono orgogliosi. Quello che non ti raccontano sono le circostanze in cui è avvenuto quel successo. Non spendono neppure una parola sullo Swimmer Nullification Program, che in effetti funziona in maniera un po' diversa. Gli animali vengono addestrati a strappare maschera, pinne e respiratore ai sommozzatori nemici. Una cosa già piuttosto brutale in sé, vero? Ma in Vietnam quegli animali avevano anche coltelli lunghi e affilati sul muso e sulle pinne e alcuni esemplari portavano addirittura degli arpioni sul dorso. Quello che attaccava sott'acqua non era più un delfino o una focena, ma una macchina per uccidere. Comunque robetta in confronto a quello che si sono inventati in seguito, quando hanno piazzato sui musi degli animali delle siringhe da conficcare nei sommozzatori, cosa che gli animali facevano diligentemente. Per il sommozzatore colpito, il problema era che la siringa iniettava nel suo corpo tremila psi di anidride carbonica, cioè anidride carbonica compressa. Il gas si diffondeva nel giro di qualche secondo e la vittima esplodeva. In quel modo, dai nostri animali, sono stati uccisi più di quaranta vietcong e per sbaglio anche due americani, ma qualche perdita era normale.»
Anawak aveva la nausea.
«Qualcosa del genere è accaduto negli anni '80, nel Bahrein», proseguì Greywolf. «Era la mia prima volta al fronte. Il mio sistema aveva fatto diligentemente il proprio lavoro… e io allora non sapevo nulla di MK0. Non sapevo neanche che lanciavano gli animali col paracadute nelle zone che non era possibile raggiungere, anche da tre chilometri di altezza, benché non tutti sopravvivessero. Alcuni erano lanciati dagli elicotteri senza paracadute, da venti metri sul livello del mare. Altri ancora venivano mandati ad attaccare le mine agli scafi delle navi e dei sommergibili nemici. Talvolta si aspettava che gli animali fossero sufficientemente vicini e poi li si faceva esplodere con un comando a distanza. Operazioni kamikaze. L'ho saputo poco tempo dopo.» Greywolf rimase per un po' in silenzio, quindi riprese: «Avrei dovuto smettere già allora, Leon, ma la Marina era la mia casa. Là ero felice. Non so se riesci a capire, ma era così».
Anawak rimase in silenzio. Lo capiva fin troppo bene.
«Mi consolavo col fatto di appartenere ai
«