Ma non si lasciò scoraggiare. Trovò la homepage dell'US Navy's Marine Mammal Program, riguardante il lavoro sui mammiferi marini, però le informazioni erano quelle che aveva già visto allo Château. Tutti i migliori giornalisti investigativi avevano scritto dozzine di articoli. Chiuse la pagina e continuò a cercare. Poco dopo, trovò la notizia di un progetto militare dell'ex Unione Sovietica che sembrava molto promettente. Durante la Guerra Fredda, molti delfini, leoni marini e beluga erano stati addestrati per il ritrovamento di mine e di missili andati perduti e per proteggere la flotta nel mar Nero. Dopo il crollo dell'Unione Sovietica, gli animali erano stati portati nell'acquario di Sebastopoli, nella penisola di Crimea, per esibirsi in numeri da circo, finché i proprietari non avevano finito i soldi per il cibo e i medicinali ed erano stati costretti a scegliere se ucciderli o venderli. Alcuni animali erano stati usati nei programmi terapeutici per bambini autistici. Gli altri erano stati venduti all'Iran. E là le loro tracce si perdevano, dal che si poteva presumere che fossero diventati oggetto di nuovi esperimenti militari.
Evidentemente i mammiferi marini avevano vissuto una sorta di rinascita all'interno dei programmi di strategia bellica. Durante la Guerra Fredda, tra Stati Uniti e Unione Sovietica c'era stata una vera e propria corsa agli armamenti, che aveva finito per coinvolgere anche l'efficientissima squadra dei mammiferi marini. Con la fine di quel periodo, sembrava finito anche lo spionaggio coi delfini, ma alla rissa tra le superpotenze non era seguito un ordine mondiale migliore. Il conflitto israelo-palestinese era sfuggito al controllo, destabilizzando tutta la regione. Lontano dagli occhi di tutti, cresceva una nuova generazione di terroristi capace di sabotare le navi da guerra americane. Innumerevoli conflitti internazionali finivano con mine lasciate in acqua, siluri andati perduti e costosissime attrezzature affondate che dovevano essere recuperate. E si era scoperto che, per le operazioni di recupero, i delfini, i leoni marini e i beluga erano molto più adatti dei sommozzatori o dei robot. Nella ricerca delle mine, per esempio, i delfini si erano dimostrati dodici volte più efficienti degli uomini. I leoni marini delle basi militari americane di Charleston e San Diego avevano avuto una percentuale di successo del novantacinque per cento. Sott'acqua, gli uomini potevano lavorare soltanto rinchiusi dentro qualcosa; inoltre avevano un pessimo senso dell'orientamento e, una volta risaliti, dovevano trascorrere ore nelle sale di decompressione. I mammiferi marini, invece, operavano nel loro elemento naturale. I leoni marini riuscivano a vedere anche se le condizioni erano pessime. I delfini erano in grado di orientarsi anche nel buio assoluto grazie al loro sonar, una raffica di vocalizzazioni, dalla cui eco riuscivano a ricavare con precisione incredibile posizione e forma degli oggetti. I mammiferi marini s'immergevano dozzine di volte al giorno a profondità di centinaia di metri. Una piccola squadra di delfini sostituiva navi da milioni di dollari, sommozzatori, equipaggi e strumenti. E sempre — quasi sempre — gli animali tornavano indietro. In trent'anni, la Marina americana aveva perso solo sette delfini.
Così i programmi di addestramento americani erano stati riavviati, con nuovi finanziamenti. Dalla Russia arrivavano notizie dei primi sforzi per riprendere il lavoro coi mammiferi marini. Un'attività che si era avviata pure in India e nel Medio Oriente.
Che Vanderbilt avesse ragione?
Anawak era convinto che, nelle profondità del web, si potessero trovare informazioni che non comparivano sul sito ufficiale della Marina americana. Non era la prima volta che sentiva parlare di esperimenti fatti dai militari per controllare balene e delfini. Non si trattava di un classico addestramento, ma di ricerche neurali, come quelle iniziate tempo prima da John Lilly. In tutto il mondo, i militari rivelavano un interesse incontenibile per il sonar dei delfini, perché era nettamente superiore a ogni sistema umano. Però non si era ancora riusciti a comprenderne il funzionamento. Tutto lasciava intendere che, nel recente passato, fossero stati fatti esperimenti che andavano ben oltre quanto si era disposti ad ammettere in via ufficiale.
Nel web avrebbe potuto trovare la spiegazione al comportamento delle balene.
Per il momento, tuttavia, il world wide web taceva.
Taceva insistentemente, interrotto da distacchi e mancate connessioni. Tacque per tre ore, e Anawak era ormai sul punto di rinunciare. Gli occhi gli bruciavano. Non aveva più voglia e la concentrazione si era allentata, tanto che quasi gli sfuggì una breve notizia del