«Noi non siamo coronati dal successo», disse Samantha. «Se volete vedere il vero successo, osservate gli squali. Esistono dal Devoniano, da quattrocento milioni di anni. Sono centinaia di volte più antichi di ogni progenitore dell'uomo, e ce ne sono trecentocinquanta specie. Ma probabilmente gli yrr sono ancora più antichi. Se sono unicellulari e hanno trovato il modo di costruire un pensiero collettivo, allora sono avanti di un'eternità rispetto a noi. Non riusciremo mai a recuperare questo vantaggio. Al massimo potremo ucciderli. Ma davvero si vuole correre questo rischio? Sappiamo che importanza hanno per la nostra esistenza? Probabilmente non potremo vivere né con questo nemico né senza.»
«Lei vuole difendere i valori americani, Jude?» Johanson scosse la testa. «Allora falliremo.»
«Che cos'ha contro i valori americani?»
«Niente. Ma ha sentito cos'ha detto Samantha: forse, le forme di vita di altri pianeti non sono simili né agli uomini né ai mammiferi, forse non si basano sul DNA, quindi il loro sistema di valori sarà completamente diverso dal nostro. Secondo lei, laggiù negli abissi, che sistema morale c'è? Quali princìpi può avere una specie che probabilmente possiede una cultura fondata sulla divisione cellulare e sull'autosacrificio per la collettività? Come può pretendere di arrivare a una comprensione se tiene sempre ed esclusivamente sotto gli occhi valori che neppure l'umanità riesce a condividere?»
«Mi ha valutato male», replicò Judith. «So bene che la nostra morale non è innata. La questione è: dobbiamo davvero comprendere a ogni costo quello che pensano gli altri? Non è forse meglio investire le energie nel tentativo di una coesistenza?»
«Mi sembra che lei sia un po' in ritardo, Jude», sospirò Johanson. «Credo che gli abitanti primitivi dell'America, dell'Australia, dell'Africa e dell'Artico avrebbero salutato con gioia il suo punto di vista. Come pure lo avrebbero fatto diverse specie animali che abbiamo condannato all'estinzione. L'unica cosa certa è che questa faccenda è molto complessa. E, anche se intuiamo a malapena come pensano gli altri, dobbiamo tentare, perché ormai ci siamo tagliati la strada a vicenda. Il nostro spazio ritale è diventato troppo stretto per condurre le nostre vite l'una a fianco dell'altra; ormai non resta che condurle insieme. E questo funziona unicamente se ridimensioniamo i nostri presunti diritti dati da Dio.»
«E come dovremmo fare, secondo lei? Acquisire le abitudini di vita di organismi unicellulari?»
«Ovvio che no. Non ci sarebbe possibile geneticamente. Anche quello che noi definiamo cultura è strettamente legato ai nostri geni. L'evoluzione culturale inizia nell'era preistorica. È stato allora che, nelle nostre teste si è preparato il terreno, per così dire. La cultura è biologica… Oppure vogliamo presumere che si siano aggiunti nuovi geni che ci hanno indotto a costruire navi da guerra? Noi costruiamo aerei, portaerei e teatri, ma lo facciamo seguendo il cosiddetto livello di civiltà delle nostre attività primitive, dall'epoca in cui un'ascia di pietra è stata scambiata con un pezzo di carne: guerra, incontro di tribù, commercio… La cultura fa parte della nostra evoluzione. Serve per mantenerci in una condizione di stabilità…»
«… finché un'altra condizione di stabilità non si dimostra migliore. Capisco dove vuole arrivare, Johanson. Nelle epoche preistoriche, il patrimonio genetico ha determinato la cultura e, in base a quella, ci ha trasformato geneticamente. Quindi sono i geni a guidare il nostro comportamento. Ci danno i fondamenti per questa conversazione, benché tale pensiero possa risultare odioso. Tutto il nostro bagaglio intellettuale, di cui siamo così orgogliosi, è il risultato di un controllo genetico e la cultura non è altro che il repertorio di comportamenti sociali, accoppiato con la lotta per la sopravvivenza.»
Johanson rimase in silenzio.
«Ho detto qualcosa di sbagliato?» chiese Judith.
«No. L'ascolto, affascinato e rapito. Lei ha assolutamente ragione. L'evoluzione è un gioco tra mutamenti genetici e cambiamenti culturali. Ci sono state delle mutazioni genetiche che hanno portato alla crescita del nostro cervello. È stata la biologia che ci ha reso possibile la parola, quando, nel corso di cinquecentomila anni, ha strutturato la nostra laringe e ha formato i centri del linguaggio sulla corteccia cerebrale. Ma questa trasformazione genetica porta a una costruzione culturale. Le lingue formulano conoscenza, passato, futuro e capacità immaginativa. La cultura è il risultato di processi biologici, e a loro volta le trasformazioni genetiche sono la conseguenza dello sviluppo culturale. Molto lentamente, è vero, ma è così.»
Judith Li sorrise. «Che bello, riesco a seguirla.»