— Come quando qualcuno ha un incidente e rimane disabile, e allora gli danno quel farmaco che non ricordo e lo fanno addestrare, e lui può imparare di nuovo a fare quel che faceva prima, ma usando un'altra parte del cervello.
— Questo lo dissero anche a me — dico. — Io chiesi perché non dessero quel farmaco anche a me, ma mi risposero che con me non avrebbe funzionato. Però non mi spiegarono perché.
— E questo libro lo spiega? — chiede Cameron.
— Non lo so. Ancora non l'ho letto tutto — dico.
— È difficile? — domanda Bailey.
— In alcuni punti sì, ma non tanto quanto credevo io — rispondo. — Però ho cominciato leggendo prima altre cose. Questo mi ha aiutato.
— Quali? — chiede Eric.
— Alcuni dei corsi che tengono su Internet — spiego. — Biologia, anatomia, chimica organica, biochimica. — Lui mi fissa, io abbasso gli occhi. — Non sono difficili come sembrano.
Nessuno dice parola per diversi minuti. Io sento il loro respiro e loro possono sentire il mio.
— Io mi sottoporrò al trattamento — dice all'improvviso Cameron. — Voglio farlo.
— Perché? — domanda Bailey.
— Voglio essere normale — dice Cameron. — L'ho sempre desiderato. Odio essere diverso. È troppo difficile, ed è troppo difficile fingere di essere come gli altri quando non lo si è. Ne sono stanco.
— Ma non sei orgoglioso di ciò che sei? — Il tono di Bailey rende chiaro che sta citando lo slogan del Centro: "Noi siamo orgogliosi di ciò che siamo".
— No — dice Cameron. — Fingevo di esserlo. Ma in verità… cosa siamo da doverne essere orgogliosi? Io desidero non dover sforzarmi sempre così duramente di apparire normale. Voglio
— Essere normale ti sembra tanto una gran cosa?
— Essere normale è essere come gli altri. — Il braccio di Cameron sobbalza e lui fa spallucce con violenza: a volte questo lo ferma. — Questo… questo stupido braccio… Sono stanco di doverlo sempre nascondere. — La sua voce si è alzata di molto, e io mi chiedo se s'irriterà di più in caso gli chiedessi di abbassarla. — Comunque io mi sottoporrò al trattamento e voi non potete impedirmelo.
— Io non sto cercando d'impedirtelo — dico.
— Linda non lo farà — annunciò Bailey. — Dice che lascerà il lavoro.
— Io non capisco perché gli schemi devono essere gli stessi — dice Eric, che sta guardando il libro. — Non è sensato.
— Cosa non lo è?
— Che gli schemi di attivazione dei cervelli normali per i visi sconosciuti siano uguali a quelli dei cervelli autistici per i visi conosciuti.
— Le persone normali prestano più attenzione alle facce — dice Chuy.
— Le persone normali si occupano degli altri — dice Cameron. — Ecco perché io voglio essere normale.
— Le persone normali hanno a cuore le persone normali — dice Eric. — E gli autistici hanno a cuore gli autistici.
— Non è proprio vero — ribatte Cameron, e si guarda intorno. — Guardate noi. Eric sta disegnando sagome con le dita, Bailey si sta mordendo le labbra, Lou si sta sforzando talmente di sedere composto che sembra fatto di legno e io agito il mio dado che lo voglia o no. Voi accettate che io agiti il dado che ho in tasca, ma non vi occupate di me. Quando la scorsa primavera ho avuto l'influenza, nessuno di voi mi ha chiamato o mi ha portato da mangiare.
Non dico nulla. Non c'è nulla da dire. Io non ho chiamato e non ho portato cibo perché non sapevo se Cameron voleva che lo facessi. Credo non sia giusto da parte sua lagnarsene ora. Non sono sicuro del resto che le persone normali chiamino sempre e portino sempre cibo quando qualcuno sta male. Guardo gli altri. Nessuno di loro guarda Cameron. A me è simpatico Cameron, sono abituato a lui. Che differenza c'è tra avere simpatia per qualcuno ed essere abituati a lui? Non lo so con chiarezza, e questo non mi piace.
— Neppure tu ti occupi di noi — obietta infine Eric. — È più di un anno che non ti fai vedere alle riunioni del Centro.
— Già, è vero — ammette Cameron. — Continuo a vedere… non so come esprimermi… quelli più anziani, quelli che sono peggio di noi. I giovani no: adesso li curano tutti appena nascono o prima. Quando avevo vent'anni era diverso. Ma adesso… noi siamo gli unici del nostro genere. Gli autistici più anziani, quelli che non hanno avuto neppure l'addestramento che abbiamo avuto noi… non mi piace vedermeli intorno. Mi incutono la paura di tornare indietro, di diventare come loro. E non abbiamo più nessuno da aiutare, perché autistici giovani non ce ne sono più.
— Tony — dice Bailey guardandosi le ginocchia.
— Sì, Tony. Lui è il più giovane e ha… quanto, ventisette anni? È l'unico sotto i trenta. Tutti gli altri più giovani al Centro sono… diversi.
— A Emmy piace Lou — dice Eric. Io lo guardo. Non so cosa voglia dire.
— Se fossi normale, non dovrei più andare dallo psichiatra — dice Cameron. Penso alla dottoressa Fornum e mi dico che non vederla più è quasi una ragione sufficiente per sottoporsi al trattamento. — Potrei sposarmi senza certificato di stabilità. Avere bambini.
— Tu vuoi sposarti — dice Bailey.