Читаем La velocità del buio полностью

— Naturalmente. Ecco perché il trattamento comprende anche una fase di addestramento. Incontri sociali simulati usando volti generati dal computer… — Altra diapositiva, questa volta rappresentante un gruppo di persone sedute in circolo; una parla e le altre ascoltano con attenzione. Poi un negozio di abbigliamento con qualcuno intento a parlare con una commessa. Poi un ufficio affaccendato con qualcuno che parla al telefono. Tutto ha un'aria molto normale e molto noiosa. Il dottore non mostra alcuna diapositiva di persone che partecipino a un torneo di scherma o che stiano parlando alla polizia dopo aver subito un'aggressione in un parcheggio. L'unica diapositiva con un poliziotto raffigura un agente con un sorriso fisso sulla faccia che indica qualcosa col braccio a un'altra persona con un buffo cappello e uno zaino e in mano un libro dal titolo Guida turistica.

Sono scene artificiose, tutte, e i personaggi hanno proprio l'aria di essere stati generati dal computer. Noi dunque dovremmo diventare persone normali e autentiche e loro si aspettano che impariamo a diventarlo da queste figure irreali, immaginarie, poste in situazioni artificiose, studiate. Il dottore e i suoi soci presumono di sapere in quali evenienze ci troveremo e quali problemi dovremo affrontare e quindi c'insegneranno a reagire nelle circostanze immaginate da loro. Non sanno, il dottore e i suoi soci, che io avrei avuto bisogno d'imparare a trattare con un avversario che al torneo si rifiutava di riconoscere i colpi ricevuti e con un rivale geloso che mi minacciava e voleva farmi del male, e con vari agenti di polizia che ricevevano denunce di vandalismi e attentati.

Do un'occhiata all'orologio. La seconda parte della seduta sta per concludersi e sono passate quasi due ore. Il dottore chiede se abbiamo domande da fare. Io abbasso gli occhi. Le domande che vorrei fare non sono appropriate a una riunione come questa, e poi comunque non credo che lui mi risponderebbe.

— Quando pensate di cominciare il trattamento? — chiede Cameron.

— Vorremmo cominciare col primo soggetto… chiedo scusa, paziente… il più presto possibile. Tutto potrebbe esser pronto per la settimana prossima.

— Quanti ne trattereste insieme? — domanda Bailey.

— Due. Vorremmo trattarne due alla volta con una distanza di tre giorni tra i gruppi. Così l'equipe medica primaria potrebbe concentrarsi esclusivamente sui suoi pazienti durante i primi giorni più critici.

— E se invece aspettaste che i primi due completassero il trattamento per vedere se funziona? — chiede Bailey.

Il dottore scuote la testa. — No, è meglio trattare l'intero gruppo entro un tempo relativamente breve.

— Si può arrivare alla pubblicazione più presto — mi ascolto dire.

— Come? — domanda il dottore.

Gli altri mi stanno guardando. Io abbasso gli occhi.

— Se noi ci sottoponiamo al trattamento subito e tutti insieme, voi potrete descriverlo e far pubblicare le vostre relazioni più in fretta. Altrimenti ci vorrebbe un anno e più. — Guardo brevemente il dottore in viso. Ha le guance rosse e lucide.

— Non è questo il motivo — dice a voce un po' troppo alta. — È solo che i dati sono confrontabili più agevolmente se i soggetti sono separati da un piccolo spazio di tempo. Voglio dire, supponiamo che accada qualcosa che cambi la situazione tra il periodo d'inizio e fine del trattamento ai primi due… qualcosa che riguardi il resto di voi…

— Quale cosa, un fulmine a ciel sereno che ci renda normali? — domanda Dale. — Temete che noi ci ammaliamo di normalità galoppante così da diventare soggetti inadatti al trattamento?

— No, no — dice il dottore. — Pensavo più a cambiamenti di politica…

Mi chiedo quali siano le idee del governo in proposito. Ma i governi pensano? Sta forse per succedere qualcosa, qualche nuovo regolamento o mutamento di orientamenti politici, che possa rendere impossibile questa ricerca entro pochi mesi?

Su questo punto posso informarmi quando tornerò a casa. Se ne domandassi a quest'uomo, non credo che mi darebbe una risposta onesta.

Quando usciamo camminiamo fuori tempo gli uni rispetto agli altri. Di solito abbiamo un modo di combaciare, di conformarci alle particolarità reciproche, quando ci muoviamo in gruppo. Adesso ci muoviamo senza armonia. Posso percepire la confusione, la collera. Nessuno parla. Io non parlo. Non voglio parlare con questi che sono stati i miei colleghi più stretti per tanti anni.

Tornati al nostro edificio, ognuno di noi si affretta a dirigersi verso il proprio ufficio. Io siedo e allungo una mano verso il ventilatore. Ma mi fermo e poi mi domando perché mi sono fermato.

Non voglio lavorare. Voglio pensare a ciò che quelli vogliono fare del mio cervello e a quello che veramente significa. Significa più di quanto loro dicano. E ogni cosa che dicono ha significati nascosti.

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