Era tempo di rientrare. L'ossigeno era quasi finito, e non c'era nient'altro da vedere. Ironia terribile, considerata la visuale spettacolare che in condizioni normali si sarebbe goduta da lì, fosse giorno o notte. Però in quel momento il pianeta che aveva sotto e il cielo che aveva sopra erano nascosti dal fascio di luce accecante di Sri Kanda. Morgan fluttuava in un esile universo di luce, circondato su ogni lato dall'oscurità più totale. Era quasi impossibile credere di trovarsi nello spazio, se non altro perché avvertiva il proprio peso. Si sentiva sicuro come se fosse stato sulla cima della montagna, e non seicento chilometri più in alto. Quello era un pensiero da assaporare e da riportare sulla Terra.
Diede un colpetto alla superficie liscia, rigida della Torre, che a paragone con lui era più enorme di quanto non lo fosse un elefante rispetto a un'ameba. Però nessuna ameba poteva immaginare un elefante, e tanto meno crearlo.
— Ci vediamo sulla Terra fra un anno — mormorò Morgan, e si chiuse lentamente alle spalle il portello.
57
L'ultima alba
Morgan restò alle fondamenta solo cinque minuti. Non era il momento di convenevoli sociali, e non voleva consumare il prezioso ossigeno che aveva portato sin lì fra tante difficoltà. Strinse la mano a tutti e tornò sul Ragno.
Era bello respirare di nuovo senza maschera, e ancora più bello sapere che la sua missione aveva ottenuto successo completo, e che in meno di tre ore sarebbe stato sano e salvo sulla Terra. Eppure, dopo tutti gli sforzi che gli era costato raggiungere la Torre, si sentiva un po' riluttante ad abbandonarla, ad arrendersi alla spinta della gravità, anche se ora lo riportava a casa. Poi si sganciò dal portello e cominciò a cadere, senza peso, verso il basso.
Quando la velocità raggiunse i trecento chilometri orari entrò in funzione il sistema di frenaggio automatico, e il peso tornò. Adesso la batteria sottoposta a quegli sforzi brutali si stava ricaricando, ma doveva essere danneggiata irrimediabilmente. Non sarebbe servita più a niente.
Gli venne in mente un paragone orribile: non poté impedirsi di pensare che anche il suo corpo era giunto ai limiti estremi, ma l'orgoglio testardo gli proibiva di chiedere che lo mettessero in comunicazione con un medico. Aveva fatto una scommessa con se stesso: si sarebbe fatto passare un medico solo se CORA diceva ancora qualcosa.
Adesso, mentre lui volava nella notte, CORA era silenziosa. Morgan si sentiva completamente rilassato. Si mise ad ammirare il cielo e abbandonò il Ragno a se stesso. Poche astronavi potevano offrire una visuale così panoramica, e non molti uomini avevano mai visto le stelle in condizioni tanto ideali. L'aurora boreale era svanita completamente, il proiettore s'era spento, e ormai niente incrinava lo splendore delle stelle.
A parte, ovviamente, le stelle che l'uomo aveva costruito. Quasi in verticale sopra di lui nasceva lo scintillio sorprendente di Ashoka, per sempre ferma sopra l'Indostan, lontana solo poche centinaia di chilometri dalla Torre. A est, a metà del cielo, c'era Confucio, molto più in basso Kamehameha, mentre in alto a ovest si levavano Kinte e Imhotep. Ed erano solo i punti più brillanti disposti lungo l'equatore; se ne potevano scorgere ancora a frotte, tutti molto più brillanti di Sirio. Quanto si sarebbe stupito un antico astronomo nel vedere quella collana di stelle allacciata in cielo; e quale turbamento avrebbe provato nel constatare, dopo un'ora o poco più d'osservazione, che erano immobili, che non sorgevano e non tramontavano mai, mentre le stelle familiari continuavano a seguire i loro antichissimi percorsi.
Mentre fissava quella collana di diamanti disposta in cielo, la mente assopita di Morgan la trasformò lentamente in qualcosa di molto più grandioso. Bastava un modesto sforzo di immaginazione, e quelle stelle create dall'uomo diventavano le luci di un ponte gigantesco… Si tuffò in fantasie ancora più sfrenate. Come si chiamava il ponte che portava al Walhalla, che gli eroi del le leggende nordiche usavano per trasferirsi da questo mondo all'altro? Non riusciva a ricordarlo, ma era un sogno glorioso. E forse altre creature, molto prima dell'uomo, avevano tentato invano di colmare i cieli dei loro mondi? Pensò agli splendidi anelli che circondavano Saturno, alle arcate spettrali di Urano e Nettuno. Sapeva perfettamente che quei pianeti non erano mai stati sfiorati dalla vita, ma lo divertiva pensare che si trattasse dei frammenti corrosi di ponti non riusciti.