Читаем Morire dentro полностью

La chiamarono Judith Hannah Selig, dal nome della madre, recentemente morta, del suo padre adottivo. David la odiò all’istante. Aveva temuto che la sistemassero nella sua cameretta, ma no, collocarono la sua culla nella loro stessa camera da letto; nonostante questo, i suoi pianti riempirono tutto l’appartamento notte dopo notte, aspri vagiti che non finivano mai. Era incredibile quanto fracasso poteva fare. Paul e Martha praticamente passavano tutto il tempo dandole da mangiare o giocando con lei o cambiandole i pannolini, e questo a David non importava granché, perché almeno li teneva occupati e distoglieva da lui un po’ della loro pressione. Ma odiava avere Judith tra i piedi. Non ci trovava niente di interessante nei suoi arti grassi e tozzi e nei suoi capelli ricciuti e nelle sue guance con le fossette. Osservandola attentamente mentre veniva cambiata, provò un interesse accademico per quella sua piccola rosea fessura, così aliena alla sua esperienza; però, dopo che l’ebbe vista una volta, la sua curiosità si calmò. "Così loro invece del cosino hanno un taglio. Ma chi se ne frega?" In generale lei era una distrazione irritante. Lui non riusciva a leggere a causa del fracasso che faceva, e leggere era la sua unica soddisfazione. L’appartamento era sempre pieno di parenti o amici, che facevano la loro visita d’obbligo al nuovo bebè, e le loro menti stupide, convenzionali, inondavano l’ambiente di pensieri ottusi che martellavano la vulnerabile psiche di David.

Ogni tanto cercava di leggere la mente della bambina, ma non c’era niente lì dentro al di fuori di confusi vaghi informi ammassi di sensazioni. Erano meglio le menti di cani e gatti. Pareva che lei non avesse affatto pensieri. Tutto quello che lui riusciva ad afferrare erano sensazioni di fame, di sonnolenza, e un indistinto orgasmo liberatorio quando bagnava i pannolini. Circa dieci giorni dopo che era arrivata, lui decise di ucciderla telepaticamente. Mentre i suoi genitori erano affaccendati altrove, andò nella loro camera da letto, guardò nella culla di vimini di sua sorella e si concentrò più intensamente che poté per far defluire la mente informe di lei fuori dal cranio. Se soltanto gli fosse riuscito di manovrare in qualche modo per risucchiare da lei la scintilla dell’intelletto, per attirare dentro di sé la sua psiche, per trasformarla in un guscio vuoto senza mente, allora sarebbe certamente morta. Cercò di piantare i suoi uncini in fondo alla sua anima. La guardò fissa negli occhi e liberò il suo potere, afferrando ogni sua debole emissione e tirando sempre di più. "Vieni… vieni… la tua mente sta scivolando verso di me… sto prendendola io, sto prendendomela tutta intera… zam! Ho catturato la tua mente!" Insensibile ai suoi incantesimi, lei continuava a emettere suoni gutturali e ad agitare qua e là le braccia. Lui la fissò con più intensità, raddoppiando il vigore della sua concentrazione. Il suo sorriso ebbe un guizzo, poi sparì. La sua fronte si corrugò in un aggrottare di ciglia. Si era accorta che lui stava attaccandola, oppure era semplicemente seccata da quelle smorfie? "Vieni… vieni… la tua mente sta scivolando verso di me…"

Per un attimo pensò che potesse veramente succedere. Però poi lei gli lanciò un’occhiata gelida, malevola, incredibilmente selvaggia, veramente terrificante per una bambina, e lui arretrò, atterrito, temendo un improvviso contrattacco. Un istante dopo lei stava di nuovo emettendo suoni gutturali. Lo aveva sconfitto. Continuò a odiarla, però non tentò mai più di farle del male. Lei, a cominciare dal momento in cui fu grande abbastanza per capire che cosa significhi odio, fu ben conscia di quello che suo fratello provava nei suoi confronti. E lo ricambiò. Si dimostrò subito molto più efficiente di quanto non fosse lui. Oh, è sempre stata un’esperta in odio.

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Argomento di questa composizione è Il Mio Primissimo Viaggio.

Il mio primo e l’ultimo, otto anni fa. Veramente non fu per niente il mio viaggio, ma il viaggio di Toni. L’acido lisergico dietilammide non è mai passato attraverso il mio tratto intestinale, se si deve dire la verità. Quello che ho fatto è stato l’autostop nel viaggio di Toni. In un certo senso io sto ancora facendo l’autostop in quel viaggio, quel pessimo viaggio. Lasciate che ve ne parli.

Successe nell’estate del ’68. Quell’estate era già brutta in se stessa; vi ricordate l’estate del ’68? Fu quella in cui noi tutti aprimmo gli occhi sul fatto che tutto stava andando a rotoli. Intendo parlare della società americana. Quell’impressione di crollo e di collasso imminente, che ti permea completamente, a noi tutti così familiare, penso che risalga, di fatto, al 1968. Quando il mondo attorno a noi divenne una metafora del violento processo d’incremento entropico che si svolgeva nelle nostre anime… nella mia anima, perlomeno.

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