Lei mi lancia un’occhiata di completa incomprensione. Si allontana da me e si butta sul letto, singhiozzando. Dalla sua mente, incuneandosi tra gli orrori grotteschi delle immagini provocate dall’acido, arriva una raffica di crude emozioni: paura, risentimento, dolore, rabbia. Pensa che io abbia deliberatamente tentato di offenderla. Adesso non posso dire niente per rimettere le cose a posto. Non potrò mai dire niente per farlo. Mi disprezza. Io per lei sono un vampiro, un succhiatore di sangue, una sanguisuga; conosce il mio dono per quello che è. Abbiamo oltrepassato una soglia fatale, e lei non penserà mai più a me senza provare angoscia e vergogna. E neppure io nei suoi riguardi. Mi precipito fuori dalla stanza, attraverso il pianerottolo, nella stanza occupata da Donaldson e Aitken: — Un terribile viaggio — mormoro. — Mi spiace di darvi noia, ma…
Restai con loro per tutto il pomeriggio. Mi diedero un tranquillante e con molta gentilezza mi aiutarono, quasi mi condussero per mano, nella fase di uscita dal viaggio. Le immagini psichedeliche, provenienti da Toni, continuarono ad arrivarmi per ancora una mezz’ora o giù di lì; come se un inesorabile cordone ombelicale ci legasse per tutta la lunghezza del corridoio; poi però, per mia consolazione, il senso del contatto cominciò a scivolar via e a svanire, e di colpo, con una specie di click udibile al momento del distacco, se ne andò completamente. I fantasmi fiammeggianti smisero di tormentare la mia anima. Colori e dimensioni e strutture ritornarono ad assumere le loro forme tipiche. E alla fine mi ritrovai libero da quella spietata immagine di me stesso, riflessa. Quando di nuovo mi ritrovai completamente solo nel mio cranio, sentii quasi il bisogno di piangere per festeggiare la liberazione, però le lacrime non volevano venire, e io restai lì, seduto, passivamente, centellinando un bromo-tranquillante. Il tempo gocciolava via. Donaldson, Aitken e io parlammo tranquillamente, educatamente e con calore di Bach, dell’arte medievale, di Richard M. Nixon, di marijuana, e di moltissime altre cose. Li conoscevo appena quei due, eppure erano disposti a dedicare il loro tempo ad alleviare le pene di un estraneo. Finalmente mi sentii bene. Poco prima delle sei, ringraziandoli con tutto il cuore, ritornai nella mia stanza. Toni non c’era. Sembrava che ci fosse qualcosa di strano, di cambiato. I libri erano caduti dagli scaffali, le stampe dalle pareti; la porta del gabinetto era spalancata e mancavano molte cose. Nel mio stato confuso, affaticato, mi ci volle un po’ di tempo per afferrare quello che era successo. Dapprima pensai a un furto con scasso, poi, però, afferrai la verità. Lei se n’era andata.
11
Oggi c’è un accenno d’inverno abusivo: l’aria pizzica sulle guance. Ottobre sta morendo troppo presto. Il cielo è screziato e sembra malato, ingombro di nubi fosche, pesanti, basse. Ieri è piovuto, spogliando gli alberi delle ultime foglie gialle, e adesso giacciono lì, appiccicate sul pavimento del viale del College, con le punte che si agitano disordinatamente nella brezza pungente. Ci sono pozzanghere un po’ dappertutto. Appena sistemato accanto alla massiccia forma dell’Alma Mater distendo affettatamente le pagine del giornale, parti scelte dell’edizione di oggi del