Erano davvero carichi di roba, per colpa di quella che mi sembra una politica pidocchiosa delle compagnie di linea. Un emigrante può portare con sé tutto quello che riesce a infilare nei ripostigli per scope che in terza classe chiamano cabine, purché riesca a portarlo giù dalla nave senza essere aiutato da qualcuno; è questa la definizione di «bagaglio a mano». Ma se deve mettere qualcosa nella stiva, paga la tariffa merci. So che la compagnia deve avere il suo guadagno, ma non è detto che politiche del genere debbano piacermi. In ogni caso, quel giorno avremmo cercato di volgere a nostro vantaggio la pidocchieria.
Quando ci passarono davanti, quasi nessuno guardò dalla nostra parte, e i pochi non dimostrarono alcun interesse. Apparivano stanchi e preoccupati, e probabilmente lo erano. C’erano un sacco di bambini, e quasi tutti piangevano. Le prime venti o trenta persone della colonna ci superarono in fretta. Poi la fila rallentò (più bambini, più bagagli) e i ranghi si serrarono. Era arrivata l’ora di fingere di essere una delle «pecore».
Poi, di colpo, in quel caos di odori umani, di sudore e sporcizia e preoccupazioni e paura e muschio e pannolini bagnati, un odore si stagliò chiaro come il tema del Galletto d’Oro nell’
Una donna pesante, sul lato opposto della fila, si girò a guardarmi, e lasciò cadere due valigie e mi strinse. —
Janet disse: — Quella
Ovviamente avevamo interrotto l’avanzata della coda. Altre persone, cariche di roba, lamentandosi, ci superarono, ci attraversarono, ci aggirarono. — Rimettiamoci in marcia. Parleremo dopo. — Mi voltai a guardare nel punto dove ci eravamo acquattati Pete e io, e lui era svanito. Non mi diedi altre preoccupazioni: Pete è in gamba.
Janet non era realmente pesante o corpulenta; era soltanto incinta di parecchi mesi. Cercai di prenderle una valigia; non me lo permise. — È meglio portarne due. Si equilibra il peso.
Così finii col reggere una cesta da viaggio per gatti che conteneva mamma gatta. E un grosso pacco avvolto in carta marrone che Ian teneva sotto il braccio. — Janet, cosa ne hai fatto dei micini?
— Grazie alla mia influenza — rispose per lei Freddie — hanno ottenuto un’eccellente posizione, con buone possibilità di carriera, come addetti al controllo dei roditori in un grosso allevamento ovino del Queensland. E ora, Helen, ti prego di informarmi come sia accaduto che tu, tu che solo ieri sei stata vista seduta alla destra del signore e padrone di un enorme incrociatore di linea, oggi ti ritrovi unita ai bifolchi nelle viscere di questa fogna.
— Più tardi, Freddie. Quando saremo usciti.
Lui lanciò un’occhiata alla porta. — Ah, sì! Più tardi, con libagioni fra amici e tanti racconti. Per adesso dobbiamo ancora superare Cerbero.
Due mastini, armati, erano al portello, uno su ciascun lato. Cominciai a recitare mentalmente
Superammo il portello, scendemmo una rampa, e ci fecero mettere in fila davanti a un tavolo. Dietro erano seduti due impiegati con un quintale di carte. Uno urlò: — Frances, Frederick J.! Fatti avanti!
—
Intuii vagamente un’attività frenetica dietro di me, ma non vi prestai attenzione. Volevo solo uscire il più in fretta possibile dal raggio di tiro di uno storditore o di un lanciacordamoschicida o da un mortaio per lacrimogeni. Non avrei mai potuto distanziare una pistola-radar o un fucile normale, ma di quelli non dovevo preoccuparmi, se Pete aveva ragione. Continuai semplicemente a mettere un piede davanti all’altro. Alla mia destra c’era un villaggio, e avanti diritto degli alberi. Per il momento gli alberi mi parevano una scelta migliore. Continuai a correre.