— Ho dormito bene. Non ho fatto sogni. Il mio braccio va meglio. Credo che sia stato un bene andarcene dalla grotta. Penso che sarei potuto stare più male se fossimo rimasti. Gli spiriti di quel luogo sono molto affamati e non sono certo che il mio dono fosse sufficiente per loro. Ma non sono spiriti che viaggiano. Non mi hanno seguito.
Mangiammo ancora un po’ della lucertola, fredda questa volta, poi sellammo i cornacurve e proseguimmo.
La valle continuava ad allargarsi. Poco dopo mezzogiorno mi guardai attorno e vidi che le coste rocciose erano sparite. Mi girai sulla sella per guardarmi indietro. Eccole là: una parete gialla, illuminata dal sole, che si estendeva a nord e a sud fin dove potevo vedere. Avevamo lasciato la valle del nostro piccolo affluente e ci trovavamo nella valle del Grande Fiume, viaggiando attraverso una foresta pianeggiante. Numerosi alberi erano caduti e parecchi altri erano pericolosamente inclinati. C’erano macchie di colore sui tronchi: azzurro chiaro, verde chiaro e giallo. Le chiazze, conclusi, erano organismi. Con ogni probabilità si nutrivano del tessuto morto. Questo era un bassopiano. Pianura alluvionale. Parecchi alberi dovevano morire negli anni in cui il livello del fiume saliva.
Nel pomeriggio inoltrato arrivammo a un vasto stagno, o forse un’insenatura del fiume. Non avrei saputo dire quale. Vi galleggiava della schiuma di un azzurro acceso e c’erano fiori di color arancione che mi ricordavano il loto. La nostra pista costeggiava il fiume. Al massimo eravamo a dieci metri di distanza, viaggiando fra la foresta e la riva.
Davanti a noi un animale sguazzava nell’acqua bassa. Era un bipede, di una specie che non avevo mai visto prima, molto alto e snello. Il colore era marrone chiaro o grigio smorto. Aveva il solito collo lungo con il capo minuscolo. Si piegava e sradicava fiori, ficcandosi in bocca i petali arancione e gli steli azzurri.
La scena aveva una bellezza strana: l’acqua scura, i fiori sgargianti, il bipede che si muoveva in modo attento e aggraziato, simile a un danzatore, la lunga coda sollevata in modo che non sfiorasse la superficie dell’acqua.
— Laggiù — disse Derek e puntò il dito. Più al largo l’acqua si muoveva leggermente. I fiori si alzavano e si abbassavano. Vidi delle increspature, poi una testa. Era una lucertola, ma molto più grossa di tutte quelle che avevamo visto fino a quel momento.
—
La testa andò sotto. Intravidi una lunga schiena con una fila di aculei, poi una coda, poi più nulla all’infuori di un’increspatura che si spostava verso la riva. Il bipede era forse cieco? Mi venne voglia di gridare.
Il bipede raccolse un’altra manciata di fiori e se li ficcò in bocca.
— Adesso — disse Derek.
La lucertola colpì, l’enorme corpo scuro che usciva con impeto dall’acqua. Il bipede urlò e cadde. Gli uccelli si levarono in volo dagli alberi e dai cespugli lungo la riva.
Tirai le redini del mio cornacurve. I corpi rotolavano nell’acqua. Vidi una schiena scura, una lunga coda scura, il ventre bianco del bipede.
Gli uccelli volavano sopra la mia testa, lanciando grida di avvertimento. Ci fu un altro strillo. Dio! Che suono!
Il mio cornacurve rabbrividì. Serrai la mia presa sulle redini.
Nia era accanto a me. Non l’avevo vista arrivare. Prese la briglia del mio animale. — Calmo — disse. — Calmo. — Con la mano libera strofinò il collo coperto di pelo scuro.
Tornai a guardare l’acqua. Il dimenarsi era cessato. Scorgevo ancora il ventre bianco del bipede che fluttuava appena sotto la superficie dell’acqua. Per un momento restò immobile, poi sobbalzò, e sobbalzò ancora. Si muoveva verso riva. No. Veniva mosso. La lucertola lo trascinava. Vidi la schiena coperta di aculei. La testa smussata si sollevò. Le mandibole erano ancora strette attorno a una zampa sottile.
—
— Nemmeno io — fece Nia. — Sebbene abbia sentito dire che ci sono grosse lucertole nel fiume.
— Basta discorsi — disse Derek. — Continuiamo a muoverci. Voglio passare oltre quella cosa mentre è ancora indaffarata.
Nia lasciò andare la briglia del mio animale. Sbattei le redini. Il cornacurve si avviò.
La nostra pista girava attorno all’insenatura e ci portava verso la lucertola, che ora era uscita del tutto dall’acqua. Trascinò la sua preda su per la riva, poi si guardò attorno. Cielo, se era brutta! La pelle scura era cascante e piena di pieghe. Gli aculei che correvano lungo tutto il dorso erano piegati e spezzati. Alcuni mancavano del tutto. Quegli animali dovevano combattere. C’erano macchie sul corpo pesante: numerose e di un grigio smorto. Un parassita, giudicai, una specie di malattia della pelle.
La lucertola ci fissò, poi afferrò di nuovo il bipede, tirandolo fuori del tutto dall’acqua. Lo lasciò andare e sollevò la testa, osservandoci di nuovo.