L’oracolo fece il gesto che indicava che capiva. Derek tornò accompagnato da una donna alta come lui e nera come carbone. Portava una tuta di un giallo intenso e un paio di orecchini davvero stupefacenti. Due enormi dischi, fatti di metallo martellato. Quando si avvicinò, notai i suoi occhi. L’iride era d’argento, lo stesso colore degli orecchini. Non c’erano pupille.
Lenti a contatto, naturalmente. Non era una moda della Terra. La donna veniva da una delle colonie L-5 oppure dalla Luna o da Marte.
Aveva in mano un sacchetto. Un attimo dopo mi accorsi che il sacchetto si muoveva. Dentro c’era qualcosa di vivo. Guardò Nia e l’oracolo. — Bene, sono sicuramente alieni. Su questo non può esserci alcun dubbio.
Derek disse: — Secondo Marina, loro
— Il problema non è che siamo velenosi gli uni per gli altri — spiegò la donna. — Il problema è che i membri di un sistema non sono in grado di metabolizzare il cibo che viene dall’altro sistema. Se queste persone mangiano il nostro cibo per un certo periodo di tempo, finiranno con qualche malanno da carenza veramente terribile. Ma uno o due pasti non dovrebbero arrecare loro alcun danno.
"Tuttavia." Fece una pausa. "Detto questo, sconsiglio di dare loro il nostro cibo. Invece…" Infilò la mano nel sacchetto e tirò fuori un pesce, che si dibatté nella sua mano. "Chiedi ai tuoi amici se questo è commestibile."
Lo feci. Nia fece il gesto dell’affermazione. Marina consegnò il pesce all’uomo biondo. — Cuocilo ai ferri. Non aggiungerci niente. Né burro, né sale.
— D’accordo — disse l’uomo, e se ne andò in cucina.
Marina si sedette. — Ci sono sempre allergie, e reazioni imprevedibili di un tipo o dell’altro. Non vogliamo uccidere i primi alieni che ci capita di incontrare.
— No — dissi.
— Che cosa sta succedendo? — chiese Nia.
— Quell’uomo piccolo cucinerà il pesce — dissi. — La donna che è appena entrata sostiene che c’è la possibilità che il nostro cibo vi faccia male.
—
Nia fece il gesto dell’approvazione.
La donna nera si presentò. Il suo nome era Marina In-vista-dell’Olimpo e veniva da Marte. Era una biologa. La sua specialità era la tassonomia. Aveva passato anni a classificare, la vita fossile del proprio pianeta d’origine.
— Dev’essere deprimente. Tutte quelle meravigliose piccole creature! Stranissime come quelle che avevamo sulla Terra durante il Precambriano. Tutto sparito. Il pianeta era morto, a parte noi. Capite perché mi sono precipitata quando si è presentata l’occasione di partecipare alla spedizione.
Nia aveva l’aria irritata. — È faticoso stare con delle persone che non capiscono il linguaggio dei doni.
Feci il gesto dell’assenso. L’uomo biondo tornò con due piatti di pesce ai ferri.
— Non è stato facile — disse. — Non ho potuto aggiungere nemmeno un contorno.
Nia e l’oracolo mangiarono in fretta e agilmente con le mani. Tutti noi ci sforzammo di non stare a fissarli.
Quando ebbero finito, Nia disse: — Me ne vado nella foresta. Se riuscirò a trovare il tipo di legno giusto, fabbricherò una trappola. Finora avevo paura di scendere lungo il lago perché sembrava che la tua gente fosse ovunque. Ma adesso ho meno paura. E se non posso mangiare il vostro cibo, dovrò trovarne da me.
Feci il gesto dell’approvazione.
— Quante cose nuove! Come faccio a uscire da questa casa?
L’accompagnai fino alla porta.
— Tornerò all’imbrunire. — Si voltò e attraversò il campo, diretta verso la foresta. La gente l’osservava. Tornai nella sala da pranzo.
L’oracolo disse: — Vorrei dormire.
— Okay — rispose Derek.
Uscirono. L’uomo biondo accatastò i piatti e i bicchieri. — Dovranno imparare a riordinare da soli le proprie cose.
— È improbabile che usino molto la sala da pranzo — ribattei.
— Può darsi di no. — Tornò in cucina.
Guardai Marina, che disse: — Devo dar da mangiare a un brutto-cattivo.
— Che cosa?
— Sto raccogliendo degli esemplari e non ho ancora incominciato a dare loro dei nomi in latino. È stata una giornata stupefacente. Ci vediamo più tardi.
Se ne andò. Io restai seduta ancora un po’, da sola, pensando: loro sono vivi. Poi uscii.
Il vento soffiava verso sud-est, scacciando le nuvole. Entro la metà del pomeriggio il cielo era sereno. Trovai la cupola di biologia. Era color giallo chiaro e piena di gabbie. La maggior parte delle gabbie erano occupate. C’erano uccelli che zufolavano, bipedi che facevano versi striduli. Il brutto-cattivo grugniva e tirava su col naso.
— Che cos’è? — chiesi.
— Immagino che sia un principe, vittima di qualche genere di maledizione — rispose Marina. — Guarda quelle verruche! Guarda quelle setole!
La creatura camminava, gli artigli che si muovevano a scatti. Era creato per scavare e aveva una specie di muso a proboscide lungo e sottile. Non come un formichiere. Questa creatura aveva un sacco di denti.
— Vedo che cos’ha di brutto.
— Ma in che cosa è cattivo? Rigetta quando si innervosisce. Credo che sia un meccanismo di difesa. Certamente a me dà fastidio.
— Che cos’è?