Assaggiai il vino. Era giovane e aspro. Non c’era stato alcun modo pratico di mantenere in funzione la cantina durante il lungo viaggio di allontanamento dal nostro sistema, e nessuna buona ragione per farlo. Le persone dormivano. I computer non bevevano. Tutto il nostro vino era stato fatto più o meno nell’ultimo anno, e aveva tutto questo stesso sapore, se non peggiore.
— Probabilmente Eddie ha ragione — dissi. — Abbiamo qualche problema a riadattarci.
— Credo che sia una macchinazione — disse Gustavo. — Conosciamo la posizione di Eddie. Credo che stia cercando di controllare le informazioni, da voi a noi e da noi a voi.
Lo guardai. I suoi occhi erano verdi in quel momento e brillavano come il piumaggio di una qualche specie di uccello tropicale.
— Questa mi sembra paranoia — dissi.
— È un termine tecnico, e superato. Quello che intendi dire è che pensi che io nutra un sospetto infondato. Quello che hai detto è che pensi che io sia pazzo.
— Okay. Ritiro la paranoia. Ma credo che tu abbia torto. Grazie per il vino.
— È stato un piacere. E sono contento di averti incontrata.
Mi sedetti da sola. C’era una ciotola di salatini assortiti per aperitivo sul tavolo: noci e frutta secca e altre cose che non riuscii a identificare. Piuttosto gustose. Ne mangiai una manciata e sorseggiai il mio vino.
Poteva anche essere vero. Forse Eddie stava cercando di isolarci. D’altra parte non ero dell’umore adatto ai giochetti politici. Forse lui lo sapeva e mi stava semplicemente proteggendo.
Brian si fermò nell’uscire e mi presentò i suoi compagni. Erano giovani e dall’aria zelante, del team di planetologia. S’inchinarono, mi strinsero la mano e dissero che era un piacere.
— Dovremo parlare — disse Brian.
— Okay.
— Non vediamo l’ora — disse uno dei cinesi.
— Siamo impazienti — aggiunse l’altro.
Se ne andarono. Bevvi ancora un po’ di vino e guardai la finestra sopra di me. Era esagonale, sistemata nel soffitto curvo. Nel cielo c’era una nuvola, che si muoveva portata dal vento e si andava oscurando man mano che gli ultimi raggi di sole l’abbandonavano.
— Posso farti compagnia? — chiese Eddie.
Feci il gesto dell’assenso.
Lui si sedette in una poltroncina. — Derek ha parlato con Nia e con l’oracolo. Lui è disposto a venire con noi. Lei dice che ci deve pensare.
Feci il gesto dell’intesa.
Eddie bevve un lungo sorso dalla bottiglia che teneva in mano — era acqua minerale — e mise la bottiglia sul tavolo, poi prese una grossa manciata di salatini per aperitivo. Guardò verso di me. — C’è della noce di cocco qui in mezzo?
— No.
— Non mi piace la noce di cocco. — Mangiò i suoi salatini, mandandoli giù con altra acqua minerale. — Pensi davvero che la mia idea sia cattiva?
— Non funzionerà. Ci cacceremo nei guai. Ed è immorale. Le persone di qui hanno il diritto di prendere le loro decisioni basandosi su informazioni fondate.
Lui aggrottò la fronte. — Io credo che la Ivanova abbia un vantaggio. Sto cercando di fare qualcosa a questo riguardo.
— E come? — Mangiai altri salatini.
— Questi individui sanno cosa significano termini come stranieri e commercio. Quando la Ivanova parlerà di scambi culturali, loro la capiranno. Ma non sanno niente della moderna tecnologia. E non hanno la minima idea di ciò che succede quando una società industriale viene in contatto con una società che ha a mala pena una cultura agricola.
— Io non direi "a mala pena". Mi sembra che abbiano un’agricoltura alquanto sviluppata. E allevano animali. Quello che non hanno è un apparato statale, il che può essere segno di una società primitiva o di una altamente sviluppata.
— Tu stai scherzando, Lixia. Questi individui sono tribali, pre-urbani e pre-industriali. Non hanno il genere di società che immaginano gli anarchici. Hanno quello che aveva la mia gente fino alla fine del Diciannovesimo Secolo. — Tacque un momento e mi guardò con espressione pensierosa. — Tu non hai intenzione di aiutarmi, vero?
— No.
— Intendi denunciarmi?
— Al comitato dell’intera nave? No. Non sono sicura di quale sarebbe l’accusa. Corruzione di un traduttore? Condotta non adatta a uno studioso?
— Dio, che casino. — Si alzò e uscì dalla sala.
Non avrei saputo dire dal tono della sua voce se fosse adirato o semplicemente depresso. Più probabilmente adirato. In quel momento non me ne importava niente. Mi sarebbe importato al mattino quando fossi stata sobria. Ma ora… Finii di bere il mio vino e mangiai un’altra manciata di salatini, poi mi alzai. Avevo perso la mia coordinazione e vacillavo leggermente.
— Stai bene? — s’informò Gustavo.
— Sì. — Decisi di saltare la cena. Non avevo fame e non mi andava di essere la sola persona ubriaca nella sala. Curioso che un solo bicchiere di vino dovesse fare un tale effetto. Andai nella mia stanza e mi misi a letto.
Quando mi svegliai, guardai in su e non vidi niente fuori dalla finestra. Un grigiore indistinto. C’erano goccioline d’acqua sul vetro. Avvertivo l’umidità nell’aria, perfino all’interno.
Mi alzai e mi feci una doccia, poi indossai una tuta, una giacca, pesanti calzini e scarpe.