Fuori faceva fresco, forse perfino freddo. La scogliera era invisibile. Scorgevo a stento gli alberi ai margini del campo. Le cupole attorno a me avevano perso gran parte del loro colore e della loro compattezza. Sembravano galleggiare nella nebbia: ombre e bolle.
Mi incamminai verso il lago. Riuscivo a vedere i primi metri d’acqua. Si muoveva appena e non faceva alcun rumore quando lambiva la spiaggia di ciottoli. Perché la nebbia era così affascinante? Era forse il mistero? Il senso di possibilità? C’era una vecchia storia che sosteneva l’esistenza di molti mondi alterni in stretta vicinanza. A volte i mondi si toccavano e, per un momento, si confondevano fra loro. Questo creava la nebbia. Era la fusione di diverse realtà. A volte, quando i mondi si separavano e la nebbia si diradava, le persone si trovavano in luoghi inaspettati. Erano passate dall’uno all’altro e si trovavano in una realtà alterna.
Decisi che non avevo alcun interesse per una realtà alterna. Non in quel momento. Benché mi piacesse l’idea che la vita fosse confusa e offuscata dalla possibilità. Niente era stabile. Niente era certo. Non c’erano margini netti, né corsi immutabili.
Mi diressi alla cupola grande e feci colazione con Marina e un terzetto di biologi. Mi posero domande sui nativi. Risposi come meglio potevo.
— Chia ha incontrato un nativo — disse Marina e indicò una piccola donna bruna.
— Davvero?
— Si. A nord del campo. Stavo cercando… — Esitò. — Non abbiamo ancora un nome per quelli. Assomigliano a centopiedi. Sono lunghi venti centimetri e vivono sotto le pietre nell’acqua. — Fece una pausa. — In gran parte sono blu.
— Parlaci del nativo — la sollecitò Marina.
— Stava togliendo trappole dall’acqua. Ci siamo guardati per un istante, poi lui è tornato al suo lavoro e io al mio. Non mi ero resa conto di quanto fossero grandi.
— Quella era Nia — dissi. — È una femmina e non è più alta di me.
— Tu sei alta, Lixia, in confronto alla gente del mio paese. E la nativa era molto… — Esitò di nuovo. — Molto grande e massiccia.
— È la pelliccia a fare la differenza. Non sembra tanto grande quando è bagnata.
— Ah — disse la piccola donna. — Come un gatto. — Poi aggiunse: — Ho incontrato tigri nella giungla. Loro amano nuotare. Sembrano grandi anche quando escono da un fiume.
Feci il gesto che significava "non lo so per esperienza personale, ma con ogni probabilità hai ragione".
Marina disse: — Mi mancano i gatti. Continuo a sostenere che dovremmo allevarne alcuni.
— Non ci sono topi — osservò uno degli altri biologi. — Salvo che nei laboratori, e non sono un problema.
— Lo diventeranno — disse Marina. — Qualcuno ne perderà qualche esemplare. Entreranno negli orti. Avremo una pestilenza, proprio come nella Bibbia. Ratti ed emorroidi.
— Che cosa? — saltò su il terzo biologo. Era grande e grosso e quasi sicuramente polinesiano.
— I Filistei rubarono l’Arca dell’Alleanza, qualunque cosa fosse, e l’Onnipotente li tormentò con ratti ed emorroidi. Non sto mentendo. È scritto nella Bibbia.
— Se accadrà, alleveremo qualche gatto — disse l’uomo. Sembrava un tipo calmo e pratico.
La piccola donna corrugò la fronte. — Non capisco di quale utilità possano essere i gatti nella cura delle emorroidi.
— Devo lavorare — dissi e me ne andai.
Entro mezzogiorno il cielo al di sopra della mia finestra si era fatto di un nebbioso verdeazzurro. Il mio rapporto era un pasticcio. Avevo un sacco di informazioni, ma nessuna struttura. Nessuna cornice ideologica.
Oh, essere una marxista! Soprattutto una volgare marxista. Loro avevano sempre una spiegazione. Di solito veniva dal Diciannovesimo Secolo. Engels sull’
Si aprì la porta. Derek fece capolino e disse: — Hai visite.
Nia entrò nella stanza, vestita con pantaloncini grigio chiaro e una camicia rosso borgogna. La camicia portava stampate grosse lettere bianche. Dicevano: I MIGLIORI AUGURI DALLA CONFEDERAZIONE IROCHESE.
Una donazione. Avevano voluto contribuire tutti alla spedizione. La nave era piena di oggetti con su nomi dati da circoli e cooperative, città, associazioni, tribù e kibbutzim. La lampada nella mia cabina veniva dall’Associazione dei Lavoratori Aeronavali. Sul paralume c’era l’emblema dell’associazione: due mani strette davanti a un dirigibile.
Derek disse: — Ho cercato qualcosa senza scritte, ma è impossibile trovare una camicia di cotone a maniche corte senza un motto.
Nia protestò: — Parlate una lingua che io possa capire.
— Non ha detto niente di importante — le spiegai.
— Bene. Ho deciso di venire con voi.
— Perché?
Lei fece il gesto che significava "perché no?".
— È una buona risposta?