Presi il mio zaino e mi misi in cammino. Sull’altra riva del fiume mi fermai per asciugarmi i piedi. Non riuscivo a vedere Nia, ma scorgevo il fumo che saliva dal nostro fuoco, e vedevo la tomba dell’uomo pazzo. Pensavo di vederla. Forse era solo un altro mucchio di pietre.
Mi infilai i calzini e gli stivali. Poi mi voltai e mi allontanai.
Una cosa curiosa riguardo al canyon. Viste da lontano, le pareti apparivano spoglie, e il fondo del canyon era pietra grigia. Avvicinandomi, però, scorgevo fiori e insetti dai vivaci colori. Gli animali a sei zampe erano spariti. Ora vedevo creature che sembravano uccelli o forse minuscoli dinosauri. Si tenevano eretti sulle zampe posteriori ed erano coperti di penne. Ma avevano braccia al posto delle ali. Ne vidi uno catturare un insetto. Afferrò l’insetto con le piccole mani fornite di artigli e aprì la bocca. Scorsi file di denti. Un attimo dopo, uno scricchiolio! E l’insetto era sparito.
Il cacciatore inclinò il capo e mi guardò. Ricambiai lo sguardo. Il corpo della creatura era ricoperto di penne azzurre all’infuori del ventre e della gola. Il ventre era bianco, la gola di un giallo sulfureo.
La creatura sibilò nella mia direzione.
— Oh, sì? — dissi.
Quella fuggì.
A mezzogiorno mi fermai a mangiare. Sopra di me gli uccelli si libravano nel vento. Un pesce saltò nel fiume. Mi riposai un momento, poi proseguii. Il fiume si fece più turbolento. Il sentiero prese a salire e a scendere, serpeggiando attorno a grossi blocchi di pietra nera e grigiastra, dalla forma irregolare. Davanti a me vidi la fine del canyon: una parete di pietra, malamente frastagliata, piena di fenditure. L’acqua scendeva fra le fenditure, comparendo e scomparendo. Alla sommità, l’acqua si trovava alla luce del sole. Luccicava come argento. Più in basso, in ombra, era grigia. In fondo alla scogliera c’era una pozza d’acqua, seminascosta da una nebbiolina.
Perfino in distanza riuscivo a sentire il rumore dell’acqua. Era uno scroscio sommesso e continuo.
Continuai a camminare. La pista seguiva un lato della pozza. Accanto a me c’era la parete del canyon. Nella roccia erano stati incisi dei disegni: spirali e triangoli e figure di animali.
Aha! pensai. Un luogo sacro. Ma sacro a che cosa? Le spirali potevano rappresentare il sole. Da noi sulla Terra il triangolo era spesso un simbolo di fertilità o di sessualità femminile. Gli animali erano specie locali, o così almeno supponevo. Un quadrupede con le corna. Un bipede con un collo simile a uno struzzo e lunghe braccia striminzite. Venivano adorati oppure cacciati? O entrambe le cose?
Il vento spingeva verso di me gli spruzzi della cascata. Il sentiero si era fatto scivoloso. Decisi di concentrarmi su dove mettevo i piedi.
La pista girava attorno a un’alta roccia ricoperta di pittogrammi. Sull’altro lato c’era un uomo. Non c’era alcun dubbio sul suo sesso. Era nudo e il suo membro maschile era abbastanza grosso da essere ben visibile. Stava danzando, saltellando da un piede all’altro. Teneva in mano una pertica. In cima c’erano un paio di corna, verdi a causa della corrosione. Quasi certamente rame. L’uomo fece una piroetta e agitò il lungo bastone, poi tornò a girarsi, trovandosi così faccia a faccia con me. Ora mi resi conto che una cosa la portava: un filo di grosse perline rotonde e di un azzurro intenso. Mi ricordavano le perline di faenza provenienti dall’Egitto.
Lui smise di danzare e mi fissò. Rimasi immobile, guardando indietro. Era grande all’incirca quanto me, forse un po’ più robusto. La sua pelliccia era marrone scuro, lunga e ispida; gli occhi grandi e di un giallo chiaro.
Disse qualcosa che non compresi.
— Non conosco quella lingua — risposi.
— Tu parli il linguaggio dei doni — fece lui. — Devi essere una straniera. Ho pensato che fossi un demonio, ma un demonio mi avrebbe capito. — Corrugò la fronte. — Immagino che potresti essere un demonio che viene da molto lontano. Un demonio che viene da lontano potrebbe non sapere la lingua del mio popolo. È questo che sei?
— Un demonio? No. Sono una persona. Mi chiamo Lixia. E tu chi sei?
L’uomo parve sorpreso. — La Voce della Cascata. Non hai sentito parlare di me?
— No.
— Devi venire da molto, molto lontano.
— Sì.
— Io parlo per lo spirito della cascata. Esso è molto potente e conosce quasi ogni cosa. — L’uomo si mise a cantare:
"Conosce
ciò che dicono i pesci
nell’acqua.
"Conosce
ciò che dicono gli uccelli
nel vento.
"Conosce
ciò che dicono i demoni
nelle viscere della terra…
"Quelli che muovono,
quelli che scuotono,
quelli che mandano su fuoco…
"Conosce
ciò che si dicono
l’un l’altro".
— La gente mi fa domande. Mi chiede che cosa sento nel rumore dell’acqua. — Saltellò su un piede e si girò, sempre saltellando. Poi barcollò e appoggiò entrambi i piedi per terra. — Che cosa vuoi? Perché sei qui?
— Sto viaggiando con una del tuo popolo. È ferita e sto cercando aiuto.
L’uomo aggrottò la fronte. Agitò il suo bastone e gridò:
"O cascata,
dimmi,
dimmi come interpretare tutto ciò".