Quando arrivai a breve distanza dall’accampamento, trenta metri al massimo, due mani mi afferrarono il collo. Cercai di gridare, ma non ci riuscii. Le mani stringevano, soffocandomi. Mi ci aggrappai, ma non riuscii a spezzare la stretta. — Unh — mormorò la persona alle mie spalle. Era un suono profondo, sommesso e soddisfatto. L’individuo girò su se stesso, trascinandomi con sé, e sbatté il mio corpo contro qualcosa di duro.
Poi lasciò la presa. Un istante dopo ero a terra, a pancia in giù e con la faccia schiacciata contro qualcosa che sembrava bitorzoluto. Una radice? La base di un albero?
La persona mi rigirò sulla schiena. Rimasi immobile. Forse avrebbe pensato che ero già morta. La persona, uomo o donna che fosse, si chinò su di me. Udii un respiro pesante e sentii l’odore del suo alito.
Colluttorio, pensai.
Ancora il respiro pesante. Avevo la sensazione che l’individuo intendesse toccarmi.
Qualcuno gridò nelle vicinanze.
L’individuo si raddrizzò. Un istante dopo era sparito.
Mi faceva male la gola, e anche la spalla e il braccio. Inspirai adagio e con cura. Finora tutto bene. Sembrava che i miei polmoni funzionassero ancora. Espirai, poi mi sollevai su un gomito. Riucivo a muovermi. Il collo non era rotto.
Girai la testa e sentii una fitta di dolore. L’accampamento. Dov’era? Vidi un tenuo bagliore rossastro. Il fuoco. Mi alzai sulle ginocchia. In quello stesso istante una figura balzò di fronte alla luce, visibile per un attimo. Poi sparì.
Che cos’era?
C’era qualcosa vicino a me. Provai a toccare. Erba enorme. Un grosso fusto liscio. Doveva essere ciò che avevo colpito quando il mio aggressore mi aveva fatto roteare. Ero stata sollevata e sbattuta contro un albero, nello stesso modo in cui un umano avrebbe battuto una scarpa contro un palo per togliervi il fango essicato.
— Mostro! — Era un grido. Inahooli. Quella pazza.
Aprii gli occhi. Accanto al fuoco c’erano due figure avvinghiate in una lotta. Erano a terra e rotolavano. Non riuscivo a distinguere chi fossero.
Provai a camminare. Ci riuscivo, sebbene mi sentissi stordita. Il fuoco dell’accampamento, e le due figure, si sfocavano e tornavano a fuoco continuamente.
Una voce urlò: — Aiutatemi!
Era l’oracolo. Era lui che lottava. Ma dov’era Derek? Arrivai ai margini dell’accampamento e mi guardai attorno. Derek era là, a tre metri di distanza. Giaceva sulla schiena, metà all’ombra, metà illuminato dalla luce della luna. I capelli erano sciolti e gli erano caduti in avanti. Lunghi, chiari e aggrovigliati, gli nascondevano gran parte della faccia. Mi chinai e glieli tirai di lato. Aveva gli occhi chiusi e c’era del sangue attorno al naso e alla bocca.
— Aiuto! — gridò di nuovo l’oracolo.
Vidi la lancia di Derek posata a terra accanto a lui. La lama splendeva debolmente nel chiarore lunare. Doveva averla lasciata cadere quando Inahooli l’aveva colpito. La raccolsi e girai attorno al fuoco, muovendomi con cautela. C’era qualcosa che non andava nel mio senso dell’equilibrio.
Inahooli era in cima. Doveva essere lei. Indossava una nuova tunica, chiara e con un sacco di ricami. L’oracolo non aveva niente del genere. Gli stava seduta sopra a cavalcioni e gli teneva le mani sulla faccia. Mi sembrò di vedere che gli ficcava i pollici negli occhi. L’oracolo urlò. Sollevai la lancia e la conficcai nella schiena di Inahooli.
Lei cacciò un urlo. C’era furore in quel suono, non dolore. Si girò per vedere chi l’avesse colpita. Lasciai andare la lancia. L’oracolo si tirò su. Inahooli ruzzolò giù dal suo corpo. Un istante dopo lui era in piedi. La donna giaceva a terra, su un fianco, e si lamentava mentre incominciava a sentire il dolore.
— Stai bene? — s’informò l’oracolo.
— No. Cerca di scoprire come sta Derek. — M’inginocchiai accanto alla donna. La lama era penetrata nella parte inferiore della schiena, sotto le costole. Chissà che cosa aveva colpito? Non ne avevo idea. Non c’era molto sangue. Dovevo cercare di estrarre la lancia? O questo avrebbe fatto aumentare l’emorragia? Le immagini si sfocarono di nuovo davanti ai miei occhi. Sollevai la testa e respirai un po’ d’aria fresca. Inahooli si muoveva nel tentativo di trovare una posizione comoda. — Resta immobile — le dissi.
— Demonio.
Le presi il polso e cercai di sentirle le pulsazioni, ma lei tirò indietro il braccio. — Lasciami in pace. — fece una smorfia. —
Le presi di nuovo il polso e questa volta lei non tirò indietro il braccio. Trovai le pulsazioni, ma in che modo potevo misurarle? Non in battiti al minuto. Non avevo un mezzo per misurare il tempo, e non sapevo neppure quali fossero le pulsazioni normali fra la sua gente. Cinquanta battiti al minuto? Settanta? O cento? Avrei dovuto confrontare la frequenza dei suoi battiti con quelli di un altro nativo. — Oracolo?