— Non ce n’è bisogno, Willy, proprio nessun bisogno. Fai buon viaggio. — Barenboim stava ancora sorridendo, quando la porta del suo appartamento si chiuse, nascondendolo. Carewe tornò in ufficio e chiuse la porta a chiave. Si sedette alla scrivania, tolse la scatola nera dalla borsa, se la mise di fronte e cominciò a studiare le cerniere. Erano fatte in modo da permettere che il coperchio si aprisse a un angolo di 45 gradi. Premendo con un cacciavite il metallo attorno alle cerniere, ne alterò la geometria. Adesso il coperchio si apriva a un angolo inferiore. Soddisfatto del risultato, tolse il nastro adesivo rosso dalla pistola che conteneva l’E-80 e la sistemò nell’incavo esterno.
Le acque azzurre del lago Orkney evaporavano dolcemente al sole del pomeriggio. Scendendo dal vertijet, Carewe si riempì i polmoni d’aria, scrutò i pendii innevati, i pini che sembravano minuscoli giocattoli, le linee a colori vivaci dell’albergo “Orkney Regal”, in lontananza. A causa del fronte freddo che imperversava Su quasi tutti gli stati occidentali, come avevano annunciato orgogliosamente gli altoparlanti del jet, la direzione dell’albergo aveva addirittura richiesto l’intervento del Controllo Meteorologico per mettere in funzione un campo lenticolare al di sopra del lago. Osservando la distesa azzurra (che, nonostante la mancanza di punti di riferimento, gli parve stranamente distorta), Carewe ebbe l’impressione di trovarsi all’interno di una di quelle sfere in cui scende la neve.
Mescolati agli altri passeggeri, stavano entrando nell’aeroporto. — Come si chiamano — chiese ad Athene — quelle vecchie sfere di vetro con dentro fiocchi di neve in miniatura?
— Non so se hanno un nome particolare. Olga Hickey ne ha diverse nella sua collezione e le chiama motili nivei, ma credo che “motile” sia un aggettivo. — Anche Athene si stava guardando attorno con interesse, e il tono di voce era il più dolce che le avesse sentito usare dalla sera del litigio. Coloritissima in viso, indossava un soprabito nuovo color ciliegia. Lui si accorse all’improvviso che ricordava moltissimo quello che portava dieci anni prima, per la luna di miele. Un segnale?
— Sono riuscito ad avere la stessa stanza — disse impulsivamente, rinunciando all’idea di farle una sorpresa più tardi.
Lei inarcò leggermente le sopracciglia. — Ma come hai fatto a ricordarti? Oh, immagino che siano stati quelli dell’albergo a rintracciare il numero.
— No. Lo ricordavo io.
— Sul serio?
— Come ricordo tutto di quelle due settimane. — Afferrò Athene per il braccio, la costrinse a guardarlo negli occhi. Alcune donne li superarono, impazienti.
— Oh, Will — mormorò lei. — Mi spiace tanto. Tutte quelle cose che ti ho detto…
Per Carewe, le parole di Athene erano cibo spirituale. — Lascia stare — rispose, soddisfatto. — Quello che hai detto era tutto vero.
— Ma non ne avevo il diritto.
— Certo che l’avevi. Noi due siamo sposati, non ricordi?
Lei gli porse la bocca aperta, e lui la sigillò con la propria, respirando il suo respiro, mentre gli altri passeggeri si affollavano attorno a loro. Athene fu la prima a liberarsi dall’abbraccio, ma continuò a tenergli la mano. Entrarono nell’aeroporto, e le facce che li guardavano erano attente, indagatrici. Carewe scoprì che in giro non c’era nemmeno un attivo. La gente disseminata nell’area di sbarco era composta solo di freddi, che li osservavano con un disinteresse superiore, oppure di donne nei cui occhi si leggeva un vago divertimento.
— Cosa mi succede? — sussurrò lui. — Mi comporto come un ragazzino in calore.
— È tutto a posto, tesoro.