«Davvero non riesco a crederci, Loren» disse Brant Falconer. «Davvero non sei
«Mi pare di ricordare che quand’ero piccolo una volta ho attraversato un laghetto con un canotto di gomma. Avrò forse avuto cinque anni.»
«Allora vedrai che ti piacerà. Il mare è calmo, e lo stomaco non ti darà fastidio. E magari riusciremo anche a convincerti a immergerti con noi.»
«Questo no, grazie… Preferisco fare un’esperienza alla volta. E ho imparato a rimanere fuori dai piedi quando gli altri stanno lavorando.»
Brant aveva ragione, pensò Loren, comincia davvero a piacermi. Il piccolo trimarano si dirigeva verso la barriera corallina spinto dagli idrogetti silenziosi. Eppure, appena salito a bordo, quando aveva visto allontanarsi la terraferma aveva provato un attimo di panico.
Solo la paura del ridicolo gli aveva evitato di fare una figuraccia. Aveva percorso cinquanta anni luce — la distanza più lunga mai coperta dall’uomo — per arrivare su quel mondo. E ora si preoccupava perché qualche centinaio di metri lo separavano dalla terraferma.
Era una sfida, e una sfida che non poteva rifiutare. Stando a poppa e guardando Falconer alla barra (come aveva fatto a procurarsi la cicatrice bianca che gli vedeva sulla schiena? Ah, sì, aveva parlato di una caduta col minialiante, anni prima…), si chiese cosa stesse pensando in quel momento il Thalassano.
Difficile credere che una civiltà umana, anche la più illuminata e liberale, ignorasse la gelosia o una qualsiasi forma di possessività sessuale.
Non che ci fossero, purtroppo! grandi cose di cui Brant potesse essere geloso.
Loren si disse che con Mirissa aveva scambiato sì e no un centinaio di parole, e per la maggior parte in presenza del marito di lei. No, il termine era inesatto: su Thalassa si parlava di marito e moglie solo dopo la nascita del primo figlio. Se nasceva un maschio, la madre di solito — ma non sempre — assumeva il cognome del padre. Se nasceva invece una femmina, era questa che prendeva il cognome della madre, almeno fino alla nascita del secondo e ultimo figlio.
Ben poche erano le cose che turbavano i Thalassani. Una di queste era la crudeltà, soprattutto se esercitata nei confronti dei bambini. Un’altra era, su quel mondo che aveva soltanto ventimila chilometri quadrati di terre emerse, una terza gravidanza.
Il tasso di mortalità infantile era così basso che bastavano i parti multipli a mantenere stabile la popolazione. C’era stato un caso — uno solo, rimasto famoso, in tutta la storia di Thalassa — di una madre che per ben due volte aveva dato alla luce cinque gemelli. La donna non ne aveva colpa alcuna, certo, ma la figura di lei aveva egualmente finito per assumere quell’aura di deliziosa depravazione che può circondare una Lucrezia Borgia, una Messalina o una Faustina.
Dovrò stare molto, molto attento a giocare le mie carte, si disse Loren.
Che Mirissa si sentisse attratta da lui, lo sapeva. Lo capiva dall’espressione del volto, dal tono della voce. E un’altra conferma gli veniva le volte che le loro mani o i loro corpi si erano accidentalmente sfiorati, e il contatto era durato un istante di più dello stretto necessario.
Entrambi sapevano che era solo questione di tempo. E anche Brant lo sapeva, Loren ne era certissimo. Eppure, malgrado la tensione che c’era tra loro due, continuavano ancora a comportarsi in modo abbastanza amichevole.
I jet si spensero e l’imbarcazione procedette per forza d’inerzia fino a fermarsi vicino a una grossa boa di vetro che oscillava lenta sull’acqua.
«Da qui ricaviamo l’energia che ci serve» spiegò Brant. «Trattandosi di poche centinaia di watt, bastano le cellule solari. È uno dei vantaggi di avere oceani di acqua dolce… sulla Terra non avrebbe funzionato. I vostri mari erano troppo salati, e avrebbero inghiottito chilowatt su chilowatt.»
«Davvero non vuoi cambiare idea, zio?» chiese Kumar sorridendo.
Loren fece di no con la testa. Le prime volte, l’appellativo l’aveva imbarazzato, ma ora si era abituato al modo che avevano tutti i giovani Thalassani di rivolgersi agli adulti. Era, anzi, abbastanza piacevole trovarsi tutto a un tratto corredati di decine di nipoti.
«No, grazie. Io resto a bordo per tenervi d’occhio attraverso il visore subacqueo, giusto in caso che vi divorino gli squali.»
«Squali!» esclamò Kumar con un tono pieno di desiderio. «Che meravigliosi animali! Noi non ne abbiamo. Se ci fossero gli squali, immergersi sarebbe molto più divertente!»
Loren osservò con interesse professionale i preparativi di Brant e Kumar. Rispetto a ciò che era necessario per uscire nello spazio, si trattava di un’attrezzatura semplicissima e la bombola era così piccola che si poteva tenere in una mano.
«La bombola dell’ossigeno è piccolissima» disse Loren. «Durerà al massimo due minuti, non è vero?»
Brant e Kumar lo fissarono con aria di rimprovero.
«Ossigeno!» sbuffò Brant. «L’ossigeno puro è un veleno mortale oltre i venti metri di profondità. Qui c’è dentro aria, quanto basta per un quarto d’ora.»