L’Occhio di Giapeto aveva ammiccato, come per liberarsi da un irritante corpuscolo di polvere. David Bowman ebbe appena il tempo di pronunciare una frase balbettante che gli uomini in attesa al Controllo Missione, lontani millecinquecentoquaranta milioni di chilometri e ottanta minuti nel futuro, non dovevano mai dimenticare:
«L’oggetto è vuoto… non finisce mai… e… oh, mio Dio!.. è pieno di stelle!»
40. USCITA
La Porta delle Stelle si aprì. La Porta delle Stelle si chiuse.
In un attimo di tempo troppo breve per poter essere misurato, lo Spazio si voltò e si rovesciò su se stesso.
Allora Giapeto rimase solo una volta di più, come lo era stato per tre milioni di anni… solo, tranne un’astronave deserta, ma non ancora abbandonata, che trasmetteva ai suoi costruttori messaggi incomprensibili, cui essi non potevano credere.
PARTE VI
ATTRAVERSO LA PORTA DELLE STELLE
41. STAZIONE CENTRALE
Non v’era alcuna sensazione di movimento, eppure stava cadendo verso quelle stelle impossibili che splendevano laggiù, nel cuore oscuro di una luna. Ma no… non si trovavano realmente là, ne era certo. Si augurò, adesso che era di gran lunga troppo tardi, di aver prestato maggiore attenzione alle teorie sull’iperspazio, sui condotti transdimensionali. Per David Bowman non si trattava più di teorie.
Forse quel monolito su Giapeto era vuoto; forse il «tetto» era soltanto un’illusione, o una sorta di diaframma apertosi per lasciarlo passare. (Ma entro che cosa?) Se poteva credere ai propri sensi, sembrava che stesse precipitando verticalmente entro un enorme pozzo rettangolare, profondo parecchie centinaia di metri. La caduta diventava sempre e sempre più veloce, ma le dimensioni dell’estremità opposta non mutavano mai e rimanevano sempre alla stessa distanza da lui.
Soltanto le stelle si mossero, a tutta prima così adagio che solamente dopo qualche tempo egli capì come stessero sfuggendo alla struttura che le conteneva. Di lì a non molto, comunque, apparve ovvio che il settore stellato si espandeva, come se egli si stesse avventando verso di esso a una velocità inconcepibile.
L’espansione non era uniforme; le stelle al centro sembravano quasi immobili, mentre quelle periferiche acceleravano, sempre e sempre più rapide; in ultimo, prima di scomparire del tutto, divennero striature di luce.
Ma altre stelle le sostituivano, scorrendo nel centro del campo stellato da una fonte in apparenza inesauribile. Bowman si domandò che cosa sarebbe accaduto se una stella fosse venuta direttamente verso di lui; avrebbe continuato a espandersi fino a quando egli si sarebbe tuffato nella superficie di un sole? Ma nessuna di esse si avvicinava abbastanza per apparirgli come un disco luminoso; prima o poi deviavano tutte, fuggendo come striature di luce oltre gli orli della cornice rettangolare.
E ancora l’estremità opposta del pozzo non si avvicinava. Si sarebbe detto quasi che le sue pareti si stessero muovendo insieme a lui, portandolo verso una ignota destinazione. O forse in realtà egli rimaneva immobile e lo spazio gli stava passando accanto…
Non soltanto lo spazio, se ne rese conto a un tratto, era coinvolto in quanto gli stava accadendo adesso. L’orologio, sul piccolo pannello degli strumenti della capsula, si stava comportando in modo strano.
Di norma, i numeri nella finestrella dei decimi di secondo, scorrevano così rapidamente che riusciva quasi impossibile leggerli; ma adesso essi stavano apparendo e scomparendo a intervalli discreti, e lui riusciva a contarli a uno a uno senza alcuna difficoltà. I secondi, poi, passavano con una lentezza incredibile, come se il tempo stesso fosse sul punto di fermarsi. Infine, il contatore dei decimi di secondo si immobilizzo tra il cinque e il sei.
Eppure Bowman riusciva ancora a pensare, e persino a osservare, mentre le pareti di ebano gli scorrevano accanto a una velocità che avrebbe potuto avere un valore qualsiasi, tra zero e un milione di volte la velocità della luce. In qualche modo, egli non si sentiva minimamente sorpreso, e nemmeno allarmato. All’opposto, provava una sensazione di calma aspettativa, come la volta in cui i medici spaziali lo avevano assoggettato alla prova dei farmaci allucinogeni. Il mondo circostante era strano e meraviglioso, ma non conteneva alcunché di temibile. Egli aveva percorso quei milioni di chilometri in cerca di un mistero; e adesso, a quanto sembrava, il mistero stava venendo verso di lui.
Il rettangolo che aveva dinanzi stava diventando più luminoso. Le striature di luce delle stelle impallidivano sullo sfondo di un firmamento lattiginoso, il cui splendore aumentava a ogni momento. Si sarebbe detto che la capsula fosse diretta verso un banco di nubi illuminato uniformemente dai raggi di un sole invisibile.