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«Non sto rimandando niente», sbottai. «E se vuoi saperlo, , posso passare una vera luna di miele! Posso fare tutto ciò che voglio! Non sono affari tuoi!».

Di punto in bianco interruppe il nostro moto circolare. Per un istante mi domandai se si fosse accorto che la musica era cambiata e mi affannai a cercare il modo di mettere riparo al nostro bisticcio, prima di dirci addio. Non dovevamo salutarci così.

Ma poi sgranò gli occhi, pieni di una strana luce confusa e spaventata.

«Cosa?», ansimò. «Cos’hai detto?».

«Di che parli...? Jake? Che c’è che non va?».

«Cosa vuol dire? Una vera luna di miele? Mentre sei ancora umana? Stai scherzando? Non mi diverte per niente, Bella!».

Lo guardai in cagnesco. «Ho detto che non sono affari tuoi, Jake. Altroché se non lo sono. Non avrei... non avremmo dovuto neanche parlarne. Sono questioni private...».

Le sue mani enormi afferrarono le mie e le strinsero avvolgendole.

«Oh, Jake, lasciami andare!».

Mi diede uno strattone.

«Bella! Sei impazzita? Non puoi essere così stupida! Dimmi che stai scherzando!».

Mi diede un altro strattone. Le sue mani, strette come lacci, tremavano e mi facevano vibrare fin nelle ossa.

«Jake, basta!».

L’oscurità divenne subito affollatissima.

«Levale le mani di dosso!». La voce di Edward era fredda come il ghiaccio, affilata come un rasoio.

Alle spalle di Jacob, dalla notte nera si sentì un ringhio cupo, a cui se ne sovrappose un altro.

«Jake, fratello, allontanati». Era la voce agitata di Seth Clearwater. «Stai perdendo la testa».

Jacob s’impietrì, lo sguardo fisso e sconvolto.

«Così le fai male», sussurrò Seth. «Lasciala».

«Subito!», ringhiò Edward.

Jacob si lasciò cadere le mani sui fianchi e l’impeto del sangue che riprese a scorrermi nelle vene fu quasi un dolore improvviso. Prima che potessi accorgermi di altro, mani fredde sostituirono quelle calde e percepii come un turbine nell’aria che mi circondava.

In un battito di ciglia mi ritrovai in piedi, a un paio di metri da dove stavo prima. Teso, Edward era di fronte a me. Due lupi enormi, rannicchiati fra lui e Jacob, non sembravano aggressivi. Più che altro, cercavano di impedire la rissa.

E Seth — il quindicenne e allampanato Seth — stringeva con le lunghe braccia il corpo tremante di Jacob e cercava di allontanarlo. Se Jacob si fosse trasformato, così vicino a lui...

«E dai, Jake. Andiamo».

«Ti ammazzo», disse Jacob, la voce tanto soffocata dalla rabbia da essere ridotta a un sussurro. I suoi occhi, puntati su Edward, ardevano dalla furia. «Io ti ammazzo con le mie mani! Ora!». Tremava, in preda alle convulsioni.

Il lupo più grosso, quello nero, emise un ruggito improvviso.

«Seth, allontanati», sibilò Edward.

Seth tentò di nuovo di strattonare Jacob, talmente in preda alla rabbia che l’amico riuscì a trascinarlo indietro solo di pochissimo. «Non farlo, Jake. Vieni via. Andiamo».

Sam — il lupo più grande, quello nero — andò in aiuto di Seth. Appoggiò la testa imponente al petto di Jacob e spinse.

Seth tirava, Jake tremava, Sam spingeva: così sparirono veloci nell’oscurità.

L’altro lupo li seguì con lo sguardo. La luce era troppo debole per illuminare chiaramente il colore del suo pelo. Marrone cioccolato, forse? Allora era Quil?

«Mi dispiace», sussurrai al lupo.

«Ora va tutto bene, Bella», mormorò Edward.

Il lupo guardò Edward. I suoi occhi non erano amichevoli. Edward gli fece un cenno distaccato. Il lupo sbuffò e sparì sulle orme degli altri.

«Va bene», disse Edward fra sé prima di guardarmi. «Torniamo».

«Ma Jake...».

«È nelle mani di Sam. Se n’è andato».

«Edward, mi dispiace tanto. Sono stata stupida...».

«Non hai fatto niente di male...».

«Non sono capace di star zitta! Perché mai... Non avrei dovuto farmi trascinare così. Cosa mi è passato per la testa?».

«Non preoccuparti». Mi sfiorò il viso. «Dobbiamo tornare al ricevimento prima che qualcuno si accorga della nostra assenza».

Scossi il capo cercando di orientarmi. Prima che qualcuno si accorgesse? E chi non se n’era accorto?

Poi, mentre ci pensavo, capii che quel braccio di ferro, che nella mia mente era parso catastrofico, in realtà si era svolto in modo molto rapido e silenzioso, nella penombra.

«Lasciami due secondi ancora».

Se internamente sentivo il caos del panico e del dolore, non importava: importava soltanto ciò che stava fuori. Del resto, dovevo imparare a recitare per bene la mia parte.

«L’abito?».

«A posto. Non hai un capello in disordine».

Feci due respiri profondi. «Okay, andiamo».

Mi abbracciò e mi guidò verso la luce. Una volta passati sotto le lucine, mi fece girare con delicatezza sulla pista da ballo. Ci mescolammo agli altri ballerini come se non avessimo mai smesso di ballare.

Mi guardai attorno, ma nessuno sembrava stupito o spaventato. Soltanto i volti più pallidi mostravano qualche segno di tensione, ma lo nascondevano bene. Jasper ed Emmett erano l’uno di fianco all’altro, sul bordo della pista, ma probabilmente avevano seguito il faccia a faccia da vicino.

«Stai...».

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