Per Jacob e Renesmee, per Alice e Jasper, per Alistair e per tutti gli sconosciuti che non avevano saputo quanto avrebbero pagato quella giornata, Demetri doveva morire.
Aro toccò piano la spalla di Caius. «Irina è stata punita per aver fornito falsa testimonianza contro questa bambina». Quindi sarebbe stata quella la loro scusa. Continuò. «Non trovi che dovremmo tornare a occuparci delle questioni più imminenti?».
Caius si raddrizzò e la sua espressione s’irrigidì fino a diventare inintelligibile. Guardava davanti a sé senza dire nulla. Il suo viso, stranamente, mi ricordava quello di una persona che aveva appena scoperto di essere stata declassata.
Aro fluttuò verso le prime file e Renata, Felix e Demetri si mossero automaticamente con lui.
«Tanto per essere precisi», disse, «vorrei parlare con alcuni dei tuoi testimoni. Le formalità le conosci, vero?». Liquidò il discorso con un gesto della mano.
Due fatti successero contemporaneamente. Caius puntò lo sguardo su Aro e sfoderò di nuovo quel suo sorrisino crudele. Ed Edward sibilò, stringendo i pugni così forte da dare l’impressione che le ossa delle nocche potessero spuntare da quella pelle dura come il diamante.
Morivo dal bisogno di chiedergli cosa stesse succedendo, ma Aro era abbastanza vicino da udire anche il sussurro più tenue. Vidi Carlisle che fissava ansioso il viso di Edward, poi anche la sua espressione s’indurì.
Mentre Caius era andato a tentoni usando accuse inutili e tentativi scriteriati per scatenare lo scontro, Aro doveva aver escogitato una strategia più efficace.
Aro si mosse come un fantasma attraversando la neve fino all’estremità occidentale del nostro schieramento, fermandosi a una decina di metri da Amun e Kebi. I lupi vicini rizzarono il pelo, rabbiosi, ma mantennero la posizione.
«Ah, Amun, mio vicino delle terre del Sud!», disse cordiale. «È passato tanto tempo da quando sei venuto a trovarmi».
Amun era immobile per l’ansia, Kebi una statua al suo fianco. «Il tempo non significa molto: non mi accorgo mai del suo trascorrere», disse Amun senza muovere le labbra.
«È verissimo», convenne Aro. «Ma forse c’era un altro motivo per cui vi siete tenuti alla larga?».
Amun non parlò.
«Organizzare i nuovi arrivati per formare un clan richiede davvero molto tempo. Io lo so benissimo! Sono felice di avere altre persone che si occupino di quella seccatura. E sono felice che quelli che si sono aggregati di recente si siano ambientate così bene. Mi sarebbe piaciuto che me li presentassi. Sono sicuro che stavi per venirmi a trovare molto presto».
«Ma certo», disse Amun con un tono talmente privo di emozioni che era impossibile stabilire se il suo assenso contenesse sarcasmo o paura.
«Be’, ora siamo qui tutti insieme! Non è una circostanza squisita?».
Amun annuì inespressivo.
«Ma purtroppo il motivo della tua presenza qui non è altrettanto piacevole. Carlisle ti ha chiamato per fare da testimone?».
«Sì».
«E di cosa sei stato testimone per lui?».
Amun parlò con la stessa gelida mancanza di emozioni. «Ho osservato la bambina in questione. Quasi immediatamente è stato palese che non fosse una bambina immortale...».
«Forse dovremmo definire la nostra terminologia», disse Aro, «ora che, a quanto pare, ci sono nuove classificazioni. Parlando di bambina immortale, naturalmente, intendi una bambina umana che è stata morsa e quindi trasformata in vampiro».
«Intendo proprio questo».
«Che altro hai osservato sulla bambina?».
«Le stesse immagini che di sicuro hai visto nella mente di Edward. Che la bambina è la sua figlia naturale. Che cresce. Che apprende».
«Sì, sì», disse Aro, con una traccia d’impazienza in quel tono altrimenti affabile. «Ma nello specifico, durante le prime settimane passate qui, cosa hai visto?».
Amun increspò la fronte. «Che cresce... in fretta».
Aro sorrise. «E ritieni che dovremmo permetterle di vivere?».
Mi sfuggì un sibilo dalle labbra, e non fui l’unica. Metà dei vampiri fra le nostre file fece eco alla mia protesta. Fu un sordo ribollire di rabbia sospeso nell’aria. Dall’altra parte del prato, alcuni testimoni dei Volturi emisero lo stesso suono. Edward fece un passo indietro e mi strinse il polso con la mano, per trattenermi.
Il rumore non indusse Aro a voltarsi, ma Amun si guardò intorno, a disagio.
«Non sono venuto qui per emettere sentenze», rispose ambiguo.
Aro ridacchiò. «Mi basta la tua opinione».
Amun sollevò il mento. «Secondo me, la bambina non rappresenta un pericolo. Impara ancor più rapidamente di quanto impieghi a crescere».
Aro annuì, meditabondo. Dopo un attimo si girò e se ne andò.
«Aro?», lo chiamò Amun.
Aro tornò indietro con una giravolta. «Sì, amico mio?».
«Ho fornito la mia testimonianza. Il mio compito qui è finito. Io e la mia compagna ora vorremmo congedarci».
Aro sorrise cordiale. «Ma certo. Sono felice che abbiamo avuto l’occasione di conversare. E sono certo che ci rivedremo presto».