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— Dobbiamo pur mangiare. — Jack sentì nella sua voce una sfumatura di ostilità, e si rese conto solo in quel momento che lei cercava di evitarlo, dopo quel loro unico incontro fisico. L’idea che potesse sentirsi colpevole, e che lui fosse associato al suo senso di colpa, riempì Breton di un panico irragionevole.

— John parlava di andarsene. — Non fu capace di evitare quella bugia da adolescente innamorato, pur sapendo bene che occorreva prepararla all’idea della partenza di John con estrema cautela. Kate esitava, tra lui e la porta. La luce che le batteva sulle guance pareva rugiada, e per un attimo ebbe la terribile impressione di rivederla come quella sera, nel cassetto scorrevole dell’obitorio. Jack cominciò ad avere paura.

— John è libero di andarsene, se vuole — disse lei finalmente, e uscì. Un minuto dopo, Jack senti il motore della MG che rombava in garage. Andò alla finestra per aspettare di vederla passare, ma Kate aveva tirato su la capote, e tutto quello che poté scorgere fu un’immagine indistinta dietro i frammenti di cielo riflessi sui finestrini.

Breton si allontanò dalla finestra. Era offeso. Le sue creature, coloro a cui aveva dato la vita come se fosse sceso sulla Terra tra le folgori bibliche per soffiare il respiro nell’argilla inerte, avevano vissuto per nove anni un’esistenza indipendente da lui. E adesso, nonostante tutto quello che erano venuti a sapere, insistevano a voler vivere come prima, ignorandolo, se necessario, e lasciandolo solo in casa: e lui detestava la solitudine. Breton attraversò le stanze vuote e silenziose, stringendo i pugni. Si era preparato a una settimana di attesa, ma le cose erano cambiate e continuavano a cambiare. Doveva agire con maggiore celerità e decisione.

Da una finestra che guardava sul retro, osservò la cupola argentea, al di là dei faggi, e provò un’improvvisa curiosità per quella costruzione. Fin dal momento in cui aveva messo piede in casa, c’era stato un tacito, istintivo accordo che nessun estraneo dovesse mai sospettare dell’esistenza dei due Breton, e per questo lui non poteva uscire. Ma il giardino sul retro era ben protetto dalla vista dei vicini, e gli sarebbero bastati pochi secondi per andare dalla casa all’osservatorio.

Scese in cucina, sbirciò da dietro le tendine, e infine uscì nel patio coperto. Il sole giallo del pomeriggio di ottobre filtrava attraverso i rami degli alberi, e di lontano si sentiva il ronzio di una falciatrice. Breton si incamminò verso l’osservatorio.

— Ehi! Niente lavoro, oggi?

Breton si girò di scatto, a quella voce. Chi aveva parlato era un uomo alto, sulla quarantina, che aveva appena girato l’angolo della casa. Indossava un abito sportivo e aveva i capelli grigi sulle tempie. La faccia, larga e cotta dal sole, era caratterizzata da due occhi azzurri, molto distanziati, e da un naso troppo piccolo.

Breton provò un senso di paura, quasi superstiziosa, riconoscendo in lui il tenente Convery: l’uomo che, in un’altra corrente temporale, era venuto ad annunciargli che Kate era morta. Ma rimase perfettamente padrone di sé.

— Oggi no — disse sorridendo. — Ogni tanto ci vuole un po’ di riposo.

— Non credevo che la pensaste così, John.

— Sì, invece… solo che lo faccio molto di rado, ecco tutto.

Breton notò il tono confidenziale. Convery l’aveva chiamato per nome… ma qual era il suo nome di battesimo? “Incredibile!” pensò. “Non è possibile avere tanta scalogna!”

Convery sorrise, mettendo in mostra i denti candidi. — Sono felice di sentire che non lavorate sempre, John… così mi sento meno fannullone.

“’John’ un’altra volta” pensò Breton. “Non posso chiamarlo tenente, se c’è una certa confidenza tra noi.” — Be’, qual buon vento vi porta fin da queste parti?

— Niente di speciale… un paio di chiamate nella zona. — Convery si fruga in tasca. — Già che passavo di qui ho pensato di portare questo — e porse a Breton un oggetto color marrone, che pareva un ciottolo.

— Oh, già — fece Breton esaminando l’incisione a spirale dell’oggetto. — Già.

— L’ha avuto mio figlio da un compagno di scuola. Gli ho promesso di farvelo vedere…

Breton fissava la pietra incisa, frugando disperatamente nella memoria. Kate gli aveva detto che Convery veniva qualche volta a prendere il caffè con John, e parlavano insieme di fossili. Questo probabilmente perché John aveva delle nozioni professionali di geologia. Ma comprendevano anche i fossili? Jack cercò di tornare con la memoria al periodo prima degli ultimi nove anni, quando si interessava solo ai viaggiatori del tempo imbalsamati nella roccia.

— È una discreta ammonite — disse, augurandosi che Convery si accontentasse di quella spiegazione.

Convery annuì. — Età?

— Circa duecentocinquanta milioni di anni… ma è difficile dirlo con una certa approssimazione, ignorando il luogo di provenienza.

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