Washburn commise quattro errori nella serie seguente, due in quella successiva e nessuno nelle ultime cinque. Tanto lui che Jean vollero esaminare con i propri occhi la registrazione dell’esperimento, prima di convincersi che non c’erano trucchi, che non si trattava di un nuovo fattore ideato da Raphael per rendere più complessi gli esperimenti. Quando furono persuasi, si scambiarono uno sguardo cauto, interrogativo.
— Adesso credo che ci voglia proprio un buon caffè, Jean — disse Raphael. — Bisognerà rifletterci un po’ sopra.
Mentre Jean preparava il caffè, Joe Washburn andava su e giù per il laboratorio sorridendo, scuotendo la testa e battendo il pugno sul palmo dell’altra mano. Raphael accese un secondo sigaro, ma lo mise subito giù sentendo il bisogno urgente di comunicare a qualcuno quello che era successo. Andò al telefono, e stava sollevando il ricevitore, quando l’apparecchio squillò.
— Un’intercomunale per voi, dottor Raphael — disse la centralinista dell’università. — È il professor Morrison, da Cleveland.
— Grazie — mormorò Raphael, colpito dalla coincidenza. Aveva avuto intenzione di chiamare proprio Morrison, che, fra il ristretto gruppo di persone che lavoravano nel campo trascurato delle percezioni extrasensoriali, era il suo più intimo amico. Senza capire perché, intuì il motivo della chiamata di Morrison, e la sua sensazione venne confermata quando sentì la voce eccitata dell’altro.
— Pronto, Fergus? Grazie a Dio ti ho trovato… se non ne parlavo con qualcuno, scoppiavo. Non indovinerai mai cos’è successo qui.
— Io credo di sì, invece.
— E allora, prova.
— Hai ottenuto un risultato positivo al cento per cento negli esperimenti di telepatia.
Il mormorio di sorpresa di Morrison fu perfettamente percepibile.
— Infatti. Ma come fai a saperlo?
— Forse sono telepate anch’io — disse Raphael.
8
Ci volle un giorno intero perché la costernazione suscitata in Jack Breton dalla scoperta del brano di poesia cominciasse a diminuire.
Aveva interrogato Kate in proposito il più a fondo possibile, senza destare sospetti, e quando lei gli rivelò l’origine di quei versi, finse un blando interesse per la scrittura automatica. Kate sembrava lieta e compiaciuta, e si diffuse a spiegargli tutti i particolari a lei noti delle facoltà di cui era dotata Miriam Palfrey.
Con un crescente senso di disagio, Breton aveva esaminato centinaia di campioni di scrittura automatica, e aveva saputo che quel frammento di poesia era unico nel suo genere. Per di più, era stato scritto nelle ore in cui lui stava arrivando nel Tempo B; non poteva trattarsi di una coincidenza. L’unica risposta che la sua mente fu capace di trovare, per quanto singolare fosse la circostanza, era la telepatia… e l’ultima cosa che desiderava, era che qualcuno gli leggesse nella mente.
La mattina dopo la sua supposizione, per assurda che potesse sembrare, ricevette un’inaspettata conferma. L’apparente rottura nei rapporti tra Kate e John s’era accentuata dopo il suo arrivo. John, più chiuso che mai, diventava sempre più caustico nei confronti della moglie; si capiva che stava maturando un rivolgimento completo della propria vita. E, come a dimostrare il suo diritto a un’esistenza indipendente nel proprio universo, continuava a girare per casa con una radio sotto il braccio, aprendola a tutto volume quando venivano trasmessi i notiziari.
Le notizie che senza volerlo era costretto ad ascoltare, informarono Jack Breton del verificarsi di eventi insoliti. Ma era troppo assorto a pianificare il proprio destino personale per prestare attenzione a storie di interesse scientifico. Se non avesse avuto il problema che Miriam Palfrey era riuscita in chissà che modo a sottrargli qualche cosa dalla mente, non avrebbe nemmeno fatto caso alla notizia che gli esperimenti telepatici tenuti in numerose università stavano dando dei risultati insolitamente positivi. Così si rese conto che il caso di Miriam non era più una singola minaccia inesplicabile, ma si poneva sullo stesso piano degli altri fenomeni in corso.
Non senza sorpresa, Jack Breton scoprì poi che i rapporti con il suo “alter ego” non peggioravano. L’atmosfera della casa era percorsa da tangibili correnti di emozioni, mentre John e Kate manovravano incessantemente, ciascuno in attesa che l’altro rompesse la stasi in cui erano chiusi. Ma, di tanto in tanto, Jack si trovava in mezzo a un periodo di bonaccia, in cui lui e John potevano parlare come due gemelli che non si vedessero da tempo. Aveva anche scoperto, non senza sorpresa, che i ricordi di John riguardo alla loro comune infanzia erano molto più particolareggiati e completi dei suoi. Si ritrovò a discutere parecchie volte con lui sull’autenticità di qualche particolare, finché il relativo scomparto della sua mente non si spalancava dimostrandogli che John aveva ragione.