Le propaggini dell'onda anomala arrivarono nelle strade di Dover e furono percepibili anche in Normandia e sulla costa bretone. Solo il Baltico, con Copenhagen e Kiel, sfuggì al disastro. Anche lì l'alta marea infuriò, ma dove s'incontravano lo stretto di Skagerrak e quello di Kategat, lo tsunami si avvitò su se stesso e crollò. In compenso, nell'estremo nord l'ondata colpì la costa dell'Islanda e raggiunse la Groenlandia e le isole Svalbard.
Immediatamente dopo la catastrofe, gli Olsen si erano diretti verso zone più elevate. Più tardi, lo stesso Knut Olsen non fu in grado di dire perché si erano comportati così, benché quella fosse stata una sua idea. Forse aveva il vago ricordo di un film sugli tsunami o di un articolo che aveva letto da qualche parte. Forse fu solo un'intuizione. Comunque la fuga salvò la vita alla famiglia.
La maggior parte delle persone sopravvissute all'arrivo e al riflusso dello tsunami morì subito dopo. Dopo la prima ondata, molti tornarono nei loro villaggi e alle loro case per vedere cosa ne era rimasto. Ma lo tsunami si diffondeva con una serie di onde, l'una di seguito all'altra, e la loro grande lunghezza faceva sì che la seconda ondata colpisse soltanto quando si credeva di essere ormai scampati alla catastrofe.
Accade così anche quella volta.
Dopo circa un quarto d'ora, arrivò la seconda ondata, non meno violenta della precedente, e concluse l'opera iniziata dalla prima. Venti minuti più tardi, ne arrivò una terza, alta la metà, poi una quarta e infine più nulla.
In Germania, Belgio e Olanda le procedure di evacuazione erano fallite, nonostante il maggior tempo a disposizione. Giacché praticamente tutti possedevano un'automobile, moltissimi avevano giudicato buona l'idea di usarla per scappare. Ma la scelta si era rivelata pessima. Neppure dieci minuti dopo l'allarme, le strade erano irrimediabilmente intasate. E l'onda aveva sciolto l'ingorgo a modo suo.
Un'ora dopo che la scarpata continentale era smottata, le industrie offshore del Nordeuropa non esistevano più. Quasi tutte le città costiere delle zone limitrofe erano distrutte, in parte o completamente. Centinaia di migliaia di persone avevano perso la vita. Solamente l'Islanda e le isole Svalbard, poco popolate, l'avevano scampata senza vittime.
La spedizione congiunta della
Le esplosioni continuavano a rimbombare in mare e tra le rovine delle città costiere. Alle urla e ai pianti dei sopravvissuti si mischiavano il rumore degli elicotteri, l'ululato delle sirene e i comunicati degli altoparlanti. Era una cacofonia dell'orrore, ma sopra il rumore aleggiava un silenzio plumbeo. Il silenzio della morte.
Passarono tre ore prima che l'ultima ondata rifluisse in mare.
Poi smottò la scarpata continentale settentrionale.
PARTE SECONDA
Château Disaster