Si fermò e lo guardò. «Ho fatto i calcoli, li ho confrontati, valutati, li ho rifatti, li ho confrontati ancora, ho avuto dei dubbi, li ho rivalutati e rifatti ancora. La curvatura della Corrente del Golfo è sparita.»
Johanson aggrottò la fronte. «Vuoi dire…»
«Il vortice non ruota più come prima e, se osservi le analisi spettrografiche, arrivi alla conclusione che il calore è sparito. Non ci sono dubbi, Sigur. Ci stiamo avviando verso una nuova Era Glaciale. La Corrente del Golfo non scorre più. Qualcosa l'ha fermata.»
Consiglio di sicurezza nazionale
«Questa è una vera porcheria! E qualcuno dovrà pagare.»
Il presidente voleva veder scorrere il sangue.
Era arrivato all'Offutt Air Force Base e, come prima cosa, aveva indetto una videoconferenza del consiglio di sicurezza nazionale. Erano collegati Washington, Offutt e lo Château. Alla Casa Bianca c'erano il vice presidente, il segretario alla Difesa e il suo vice, il segretario di Stato — una donna -, il consigliere per la sicurezza nazionale, il direttore dell'FBI e il capo degli stati maggiori riuniti. Nella centrale per la lotta al terrorismo, in una sala sotterranea priva di finestre all'interno del quartier generale della CIA, a Langley, si trovavano il direttore della CIA, il vice direttore per le operazioni, il direttore del Centro nazionale per la lotta al terrorismo e il capo delle operazioni speciali. La cerchia era completata dal generale Judith Li e dal vice direttore della CIA, Jack Vanderbilt, seduti nella War Room provvisoria dello Château, davanti a una fila di schermi nei quali si vedevano gli altri partecipanti alla riunione. Alcuni esibivano un atteggiamento di ferma determinazione, altri apparivano disorientati.
Il presidente non si sforzava neppure di nascondere la rabbia. Nel pomeriggio, il suo vice aveva proposto di affidare allo stato maggiore la gestione di un'unità di crisi, ma il presidente era rimasto dell'idea di dirigere personalmente la seduta plenaria del consiglio di sicurezza nazionale. Non voleva farsi sottrarre il potere decisionale.
E con questa scelta agiva nel senso auspicato da Judith Li.
Nella gerarchia dei consiglieri, Judith non era la voce più importante. Il più alto rango militare era rivestito dal capo degli stati maggiori riuniti. Era il primo consigliere militare del presidente e anche lui aveva un vice. Tutti gli idioti avevano un vice. In ogni caso, Judith sapeva che il presidente la ascoltava e ciò la faceva ardere di orgoglio. L'evoluzione della sua carriera era sempre al centro dei suoi pensieri e lo era anche in quel momento. Da generale comandante sarebbe diventata capo degli stati maggiori riuniti. L'attuale capo era sul punto di essere esonerato dall'incarico e il suo vice era notoriamente un incapace. Poi, con qualche giro di valzer politico, sarebbe approdata al dipartimento di Stato o alla Difesa e infine si sarebbe potuta presentare alle elezioni presidenziali. Se ora faceva bene il suo lavoro — cioè nell'esclusivo interesse degli Stati Uniti — la sua elezione era pressoché sicura. Il mondo stava sprofondando. Judith Li era in ascesa.
«Abbiamo di fronte un nemico senza volto», disse il presidente. «Alcuni pensano che dovremmo puntare il dito contro quella parte dell'umanità che ci è ostile. Altri sono convinti che si tratti di qualcosa in più di una tragica accumulazione di processi naturali. Per quanto mi riguarda, non voglio lunghi discorsi, ma esigo che si trovi un accordo per agire. Voglio dei piani, voglio conoscere i costi e la durata.» Socchiuse le palpebre. Il livello della sua rabbia e della sua determinazione si poteva leggere in quel semplice movimento. «Personalmente non credo alla favola della natura impazzita. Siamo in guerra. Questa è la mia opinione. L'America è in guerra. Quindi che facciamo?»
Il capo di stato maggiore disse che non bisognava più stare sulla difensiva. Si doveva passare all'attacco. Sembrava molto determinato.
Il segretario alla Difesa lo guardò, aggrottando la fronte. «E chi vorrebbe attaccare?»
«Là fuori c'è qualcuno da attaccare», rispose l'altro, deciso. «E prima o poi scopriremo chi è.»
Il vice presidente obiettò che, al momento, gli sembrava impossibile che singoli gruppi terroristici fossero in grado di condurre offensive di quel calibro. «Ma allora dietro tutto ciò si nasconde uno Stato», aggiunse. «Forse diversi Stati, chissà. Jack Vanderbilt ha formulato per primo questa idea e ritengo che non sia da escludere. Credo che dovremo indirizzare la nostra attenzione verso chiunque possa avere le risorse per fare una cosa del genere.»
«Ce ne sarebbero alcuni», disse il direttore della CIA.