«E lei non potrà farci nulla, Jack», disse lentamente Johanson, fissando Vanderbilt. «Perché non saprà cosa fare. E non avrà il tempo di pensarci, impegnato com'è con balene, squali, molluschi, meduse, granchi, alghe killer e invisibili divoratori di cavi che eliminano anche i nostri sommozzatori, i batiscafi e qualsiasi cosa possa andare a vedere che succede sott'acqua.»
«Quanto ci vorrà perché l'atmosfera sia surriscaldata al punto di diventare una seria minaccia per l'umanità?» chiese Judith Li.
Bohrmann aggrottò la fronte. «Penso qualche centinaio d'anni.»
«Rassicurante», ringhiò Vanderbilt.
«No, non è così», disse Johanson. «Se quegli esseri hanno iniziato la loro guerra perché stiamo mettendo in pericolo il loro spazio vitale, devono finire in fretta il lavoro. Dal punto di vista della storia della Terra, qualche secolo non è niente. Ma l'uomo, nel giro di poco tempo, ha già causato danni gravissimi. È per questo che hanno fatto un altro passo in avanti. Sono riusciti a fermare la Corrente del Golfo.»
Bohrmann lo fissò. «Hanno fatto
«È già ferma», intervenne Karen Weaver. «Forse scorre ancora un po', ma sono gli ultimi movimenti. Nel giro di pochi anni, il mondo dovrà prepararsi a un'altra Era Glaciale. È possibile che, in meno di cento anni, sulla Terra sia tutto ghiacciato.»
«Un momento», gridò Peak. «Il metano surriscalderebbe la Terra, e questo lo sappiamo. L'atmosfera potrebbe collassare. Ma che cosa c'entra con un'Era Glaciale provocata dal blocco della Corrente del Golfo? Com'è possibile, per l'amor del cielo? Siamo di fronte a una sorta di compensazione del terrore?»
Karen Weaver lo guardò. «Direi un potenziamento.»
All'inizio, sembrava che Vanderbilt fosse l'unico a rifiutare la teoria di Johanson; nel corso delle ore successive, tuttavia, il quadro cambiò. Il gruppo si spaccò in due e gli animi degli schieramenti contrapposti si esacerbarono. Vennero riesaminati tutti gli avvenimenti: le prime anomalie, l'inizio degli attacchi delle balene, le circostanze in cui erano stati scoperti i vermi. Ormai sembrava di essere in mezzo a una partita di rugby: ci si faceva largo a gomitate con la retorica, gli argomenti venivano giocati da un parte all'altra, le fazioni si attaccavano a turno, spiazzavano l'avversario con nuovi aspetti e cercavano di atterrarlo. Anawak sapeva bene qual era la domanda inespressa: era possibile che una diversa forma d'intelligenza stesse contendendo il predominio a quella umana? Nessuno ne parlava apertamente. Ma lui, avvezzo alle dispute sull'intelligenza animale, coglieva il significato profondo di ogni parola. La teoria di Johanson non metteva in discussione la scienza, bensì l'immagine che un gruppo di esperti aveva di se stessi. Scienziati che, prima di tutto, erano uomini. Vanderbilt riuscì a ottenere l'appoggio di Mick Rubin, Stanley Frost, Bernard Roche, Murray Shankar e Salomon Peak, benché quest'ultimo non fosse pienamente convinto. Johanson conquistò la fiducia di Judith Li, Sue Oliviera, Ray Fenwick, John Ford, Gerhard Bohrmann e Leon Anawak. Gli agenti dei servizi segreti e i diplomatici in un primo momento rimasero sbalorditi, come se stessero assistendo a una pièce del teatro dell'assurdo. Poi cominciarono a schierarsi.
Fu sorprendente.
Quelle spie di professione, quei consiglieri per la sicurezza superconservatori e quegli esperti di terrorismo si schierarono quasi tutti dalla parte di Johanson. Uno di loro disse: «Sono abituato a ragionare senza pregiudizi. Se gli argomenti mi convincono, ci credo. Se gli argomenti contrari sono deformati con espedienti retorici soltanto perché così possono rientrare nella griglia delle nostre esperienze, allora non ci credo».
Il primo a disertare dalla piccola truppa di Vanderbilt fu Peak. Lo seguirono Frost, Shankar e Roche.
Vanderbilt, sfinito, propose una tregua.
All'esterno della sala riunioni era stato allestito un buffet con succhi di frutta, caffè e dolci. Karen si avvicinò ad Anawak. «Lei non ha espresso perplessità sulla teoria di Johanson», affermò. «Come mai?»
Lui la guardò e sorrise. «Caffè?»
«Grazie. Col latte.»
Versò due tazze e gliene passò una. Karen era poco più bassa di lui. Improvvisamente si rese conto che le piaceva, benché non avessero parlato molto. Le era piaciuta fin dal primo momento, quando i loro sguardi si erano incrociati davanti allo Château. «Sì», disse. «La teoria è ben ponderata.»
«Solo per questo? O è perché in fondo crede all'intelligenza degli animali?»
«Non ci credo. In generale credo all'intelligenza, ma sono anche convinto che gli animali sono animali e gli uomini sono uomini. Se potessimo dimostrare che i delfini sono intelligenti come noi, con tutte le conseguenze del caso, non sarebbero più animali.»
«E crede che sia così?»
Anawak scosse la testa. «Finché continueremo a giudicare le cose dal punto di vista umano, non lo scopriremo. Lei ritiene che gli uomini siano intelligenti, Miss Weaver?»
Karen sorrise. «Un singolo uomo è intelligente. Gli uomini in gruppo diventano un'orda anomala.»