Читаем Il quinto giorno полностью

Per un po' nessuno disse nulla. Erano tutti assorti nei loro pensieri, a dispetto del crescente frastuono all'interno del Cardero's. Dai tavoli vicini arrivavano stralci di conversazioni. Gli avvenimenti recenti dominavano la stampa e la vita pubblica. Qualcuno metteva in relazione quanto accaduto lungo la costa con le avarie nelle acque asiatiche. In Giappone e nello stretto di Malacca erano avvenuti in breve tempo i peggiori disastri navali dell'ultimo decennio. Ci s'intratteneva su questioni specialistiche e si scambiavano teorie, ma sembrava proprio che quei tragici avvenimenti non avessero tolto l'appetito agli avventori.

«E se dipendesse dai veleni?» chiese infine Anawak. «Dal PCB, da tutta quella porcheria. Che qualcosa faccia impazzire gli animali?»

«In ogni caso li fa infuriare», ironizzò John. «L'ho già detto, protestano. Perché gli islandesi chiedono un aumento delle quote di pesca, i giapponesi li incalzano e i norvegesi se ne infischiano della IWC, dell'International Whaling Commission. Perché anche i makah vogliono rimettersi a cacciarle. Ehi! È per questo!» Sorrise. «Devono averlo letto sui giornali.»

«Tenuto conto che sei il direttore del comitato scientifico, mi sembra che tu non abbia le idee molto chiare», disse Anawak. «Per non parlare della tua fama di scienziato serio.»

«Makah?» fece eco Alicia.

«Una tribù dei nuu-chah-nulth», spiegò John. «Indiani dell'ovest di Vancouver Island. Da anni stanno cercando di ottenere dai tribunali il diritto di riprendere la caccia alle balene.»

«Che cosa? Ma dove vivono? Sono pazzi?»

«Il Signore ti conservi il tuo sdegno da persona civile, ma l'ultima volta che i makah hanno cacciato balene è stato nel 1928», sbadigliò Anawak. Riusciva appena a tenere gli occhi aperti. «Non sono stati loro a portare al limite dell'estinzione le balene grigie, quelle azzurre e le megattere. Per i makah è una questione di salvaguardia della loro cultura; infatti sostengono che ormai nessuno di loro padroneggia più la caccia tradizionale alla balena.»

«E allora? Per mangiare carne di balena basta andare al supermercato.»

«Non interrompere le nobili perorazioni di Leon», la ammonì Ford, versandosi il vino.

Alicia fissò Anawak. Nei suoi occhi cambiò qualcosa.

Per favore, no, pensò lui.

Lui aveva l'aspetto di un indiano, ma Alicia avrebbe tratto le conclusioni sbagliate. Anawak poteva letteralmente sentire l'arrivo della domanda. Avrebbe dovuto spiegare e non c'era nulla che odiasse di più. Lo odiava e avrebbe voluto che Ford non avesse iniziato a parlare dei makah.

Scambiò una rapida occhiata col direttore.

Ford capì. «Ne parleremo un'altra volta», propose. E, prima che Alicia potesse aprire bocca, disse: «Dobbiamo parlare della teoria dell'avvelenamento con Sue Oliviera, Ray Fenwick o Rod Palm. Ma, per dirla senza peli sulla lingua, io non ci credo. L'inquinamento si forma col petrolio fuoriuscito e con lo scarico in mare d'idrocarburi clorurati e sai meglio di me a quali conseguenze porta: indebolimento del sistema immunitario, infezioni, morte prematura… Non alla pazzia.»

«Se non sbaglio, qualche scienziato ha sostenuto che le orche della costa occidentale sarebbero morte nel giro di trent'anni», intervenne Alicia.

Anawak annuì, cupo. «Dai trenta ai centoventi anni, se si va avanti così. Perdendo la loro fonte di nutrimento, i salmoni, se non scompaiono per il veleno, le orche migrano. Devono cercare il nutrimento in zone che non conoscono, s'impigliano nelle reti da pesca… tutto si somma.»

«Dimentica la teoria dell'avvelenamento», sbuffò Ford. «Se si trattasse solo di orche, potremmo parlarne. Ma orche e megattere che elaborano una strategia comune… Non lo so, Leon.»

Anawak rifletté. «Conoscete il mio modo di vedere», disse poi a bassa voce. «Sono ben lontano dall'attribuire intenzioni agli animali o dal sopravvalutare la loro intelligenza, ma… Non avete anche voi la sensazione che vogliano sbarazzarsi di noi?»

Lo guardarono. Si era aspettato di scontrarsi con energici dinieghi. Invece Alicia annuì. «Sì. Tranne le stanziali.»

«Tranne le stanziali», annuì Anawak. «Perché non sono state con le altre nel luogo in cui è successo qualcosa. Le balene che hanno affondato il rimorchiatore… Insomma, ve l'ho detto! La risposta è là, al largo.»

«Mio Dio, Leon.» Ford si appoggiò allo schienale e bevve un generoso sorso di vino. «In che film siamo finiti? Andate e combattete l'umanità?»

Anawak rimase in silenzio.

Il video della donna non portò altri risultati.

A tarda sera, Anawak si trovava nel letto nel suo piccolo appartamento di Vancouver, ma non riusciva a dormire. Fu allora che maturò l'idea di studiare una delle balene dal comportamento anomalo. Gli animali avevano assorbito qualcosa che li dominava. Forse, se fossero riusciti a dotarne uno di telecamera e trasmettitore, le risposte sarebbero arrivate.

La questione era come riuscirci con una megattera furiosa. Impresa difficile, considerando che anche quelle pacifiche non stavano mai ferme.

E poi c'era il problema della pelle…

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