Redpath si voltò verso destra e vide, nella stessa identica posizione dell’incubo, una porta che forse portava in dispensa, e forse in cantina. Socchiuse gli occhi, mentre un brivido di freddo gli correva lungo la schiena. La porta era assolutamente diversa (era di plastica bianca, e invece nel suo sogno si trattava di legno dipinto di rosso), però era quasi mostruoso trovarla esattamente nella stessa posizione. Tese la mano, afferrò la maniglia cromata e aprì la porla. Vide scalini di cemento che portavano nel buio d’una cantina.
Redpath, contro la stia stessa volontà, raggiunse il primo gradino. (,’aria che saliva dalle tenebre era troppo calda. Viziata e pesante. All’improvviso notò qualcosa sul muro alla sua destra: un interruttore. Tese la mano ad abbassarlo, ma non successe niente: e in quel momento si accorse che era già abbassato, in posizione di funzionamento. Quindi, o la lampadina era saltata, oppure i fili dell’interruttore erano collegati alla rovescia. Gli venne in mente una terza ipotesi, che in fondo alle scale ci fosse un altro interruttore a circuito alternato, ma la scartò subito.
“Non vorrai dirmi, vecchio mio, che una persona sana di mente metterebbe in questa cripta infestata dai ragni un interruttore che si spegne in basso.”
Tornando alla seconda ipotesi, Redpath provò a spingere verso l’alto l’interruttore, che si mosse subito. Una luce al neon si accese in fondo alle scale. Lui scese metà degli scalini, poi si sedette sui talloni per avere una visuale completa della cantina. Il locale era di forma quadrata, in cemento, ed era del tutto vuoto. Mancavano i vecchi oggetti, le cianfrusaglie abbandonate che di solito si trovano nelle cantine. L’unico contenuto visibile erano una decina di oggetti color rosso scuro, grandi come un pugno, disseminati sul pavimento.
Spinto da un insieme di curiosità e masochismo, Redpath scese fino in fondo e si chinò a esaminare l’oggetto più vicino. Era un uccello, forse un piccione, scorticato a morte. Del corpicino era rimasta intatta solo la struttura muscolare, mentre piume e pelle erano state tolte con estrema precisione. Redpath fece una smorfia quando si accorse che erano scomparsi anche il becco e le unghie delle zampe. Per un attimo, l’apparizione che aveva intravisto davanti al suo appartamento a colazione, quella faccia fatta di carne viva, si riaffacciò ai margini della sua percezione.
“Adesso devo uscire di qui.”
Si alzò, camminò all’indietro finché non urtò con la caviglia contro il primo scalino, poi si girò e corse a perdifiato su per la scala. Era quasi arrivato in cima quando la porta bianca si mosse, bloccandogli parzialmente la strada. Redpath ebbe l’impressione di un’ala enorme che si agitasse. Senza fermarsi a pensare, spinse la porta e corse in cucina. Un attimo dopo era nell’atrio d’ingresso.
“Quella porta dev’essere rotta. Forse ha uno di quei meccanismi per la chiusura automatica e non funziona bene. Insomma, lo so che sono un assassino, che mi merito ogni punizione possibile, ma c’è un limite a tutto…”
Raggiunse la porta d’ingresso, i cui vetri non avevano nessuna decorazione, l’aprì e uscì in strada, in cerca di qualche indizio che gli facesse capire dove si trovava. La strada si offriva al sole del mattino in tutto il suo squallore, come un vagabondo vecchissimo che cercasse di nutrirsi di luce; ma quella era l’unica somiglianza che possedesse con Raby Street o con ogni altra zona di Calbridge. Redpath fissò le facciate di arenaria marrone, le scale corte e molto ampie che portavano agli ingressi degli edifici, i lampioni di forma strana, e fu costretto ad ammettere che non conosceva affatto quel posto. Chissà dov’era andato a finire.
“Prove” pensò. mentre nel suo cervello cominciavano ad agitarsi i demoni dell’indignazione e della rabbia. “Se mai dovessi fornire prove di quello che mi sta succedendo, voglio essere molto preciso. D’accordo, sono un assassino, merito di essere punito; ma non è un buon motivo per permettere che la Regina degli Zingari e i suoi amici la passino liscia.”
Si girò a guardare il numero della casa da cui era appena uscito. Sulla porta blu pallido c’era una fila di numeri di metallo, disposti in diagonale: 2224. Leggermente sorpreso da quel numero così alto (per quanto ne sapeva, i numeri civici arrivavano al massimo fino all’ordine di poche centinaia), Redpath si concentrò su uno strano oggetto metallico che sporgeva dal marciapiede. Era verde, e sopra era stampigliata la scritta GFD. Lo guardò per un attimo, perplesso, e finalmente riuscì a identificarlo: era un idrante antincendio di stile americano, e in vita sua aveva visto roba del genere solo nei film importati dagli USA.
Redpath, deciso a non lasciarsi distrarre da indizi banali, s’incamminò verso l’incrocio più vicino per vedere la targa coi nome della via. Superò tre macchine, e all’improvviso si accorse che tutte e tre: erano di forma e dimensioni insolite.