Redpath alzò gli occhi e guardò la stanza. Sempre più sorpreso, scoprì che era tutto diverso. Al posto del vecchio armadio che ricordava c’era un armadio a muro, e gli altri mobili, più moderni, erano tutti bianchi e di stile uniforme. Il lampadario che pendeva dal soffitto era stato sostituito da un gigantesco tubo al neon. Ma il cambiamento più straordinario riguardava l’illuminazione che entrava da fuori. Dalla finestra filtrava la luce del mattino; e quando lui si era messo a dormire, era già pomeriggio avanzato.
Redpath capì cosa doveva essergli successo, e si sentì terribilmente depresso. Nell’altra esistenza, a colazione si era dimenticato di prendere la dose quotidiana di Epanutin, e quindi si era esposto al rischio di un attacco. Gli avvenimenti accaduti in seguito non rispondevano certo all’esigenza di una vita calma, tranquilla, che i medici raccomandavano per il controllo dell’epilessia. Date le circostanze, era naturale che il filo degli eventi gli sembrasse interrotto, che si svegliasse in un ambiente sconosciuto. Gli era già successo, e avrebbe continuato a succedergli se dimenticava di…
Le domande nacquero all’improvviso nel suo cervello, lo colpirono con tutta la loro forza.
Se gli era venuto un attacco, perché mai dovevano essersi presi il disturbo di trasportarlo in un’altra stanza?
Se aveva avuto un attacco, come mai non sentiva il solito mal di testa, il dolore fisico e la confusione?
Se aveva avuto un attacco, passando dall’incoscienza improvvisa al sonno, perché era convinto di essersi addormentato solo da pochi minuti?
Dove erano gli altri?
Redpath, spinto da un sospetto vago, si alzò, raggiunse la finestra. Spostò le tendine bianche e per un attimo restò immobile, irrigidito, mentre i suoi occhi, increduli, gli trasmettevano il messaggio.
Il paesaggio esterno gli era del tutto sconosciuto. Sotto di lui si stendeva uno spazio triangolare delimitato da case molto alte, in arenaria, un materiale da costruzione che certo non era tipico di Woodstock Road. Attorno erano disseminati garage, ripostigli, muri, cancelli di ferro arrugginito, fili per stendere la biancheria, pali del telefono, alberi. Nel mezzo di quell’ammasso di edifici si distinguevano due autosaloni, apparentemente abbandonati. Al di sopra dei tetti, al di sopra delle antenne televisive, il cielo era di un blu così intenso da sembrare stratosferico.
“Non sono più nella stessa casa! Non sono più nello stesso posto!”
Redpath lasciò andare le tendine, si premette il palmo di una mano sulle labbra.
“Forse sono rimasto svenuto per ore e ore, e loro mi hanno portato via e io non me ne sono accorto. Forse non sono più nemmeno a Calbridge, e per quanto ne so potrebbero aver pensato che sono morto, e forse mi hanno scaricato da qualche parte, e non avevano nessun diritto di trattarmi così… non avevano proprio nessun diritto!”
Redpath corse alla porta, la aprì e uscì sul pianerottolo, facendo deliberatamente molto rumore.
— C’è qualcuno? — urlò, accorgendosi quasi automaticamente che la casa era molto simile a quella di Raby Street. — C’è qualcuno in casa?
Il silenzio era assoluto, a parte il ronzio attutito del traffico che filtrava dalla strada. Redpath, esitante, accettò il fatto curioso che la posizione della sua stanza corrispondeva esattamente alla posizione della sua camera da letto nell’altra casa. Quel pensiero lo trascinò in un vortice di dubbi e confusione. Era impazzito del tutto? Si trovava ancora nella stessa casa? Le sue idee sul mobilio e sul panorama esterno erano solo ricordi di un’altra epoca, di un altro posto? Non gli era mai successo, nemmeno con un attacco di grande male, di trovarsi così disorientato al risveglio; ma chi poteva dire quali effetti avesse il maledetto Composto Centottantatré di Nevison su un cervello già minato da tempeste nervose?
Un po’ più calmo, un po’ meno furioso, Redpath scese all’altro pianerottolo. Il pianerottolo arrivava fin sul retro della casa, terminava in una finestra senza vetri istoriati. L’assenza del giglio dimostrava qualcosa? Redpath pensò che forse quello era un indizio importante, ma non riusciva ad afferrarne il significato.
Scese a pianterreno, arrivò davanti alla stanza che secondo lui era la cucina e bussò alla porta. Non ci fu risposta. Entrò, ma si fermò sulla soglia per studiare nei particolari quel locale lungo, con gli armadietti color grigioverde. Il lavandino era in acciaio cromato, non in porcellana, e il frigorifero, molto più grande, si trovava in un altro angolo… Tutto era sempre più diverso dalla casa di Raby Street. Sembrava quasi che…
“Un momento, imbecille! Non hai mai visto la cucina dell’altra casa. Il lavandino e il frigorifero li hai visti solo in un incubo!”
“Stai attento!”