Leila si portò le mani alla bocca, indietreggiò, fece il giro della stanza fino a trovarsi davanti alla cucina. Adesso i suoi sensi erano eccitati, più attenti. Quando guardò in cucina vide subito le tracce di sangue sul lavandino e sul rotolo di carta montato sulla parete. Traversò la cucina, tenendosi al centro della stanza come se temesse di contaminarsi toccando qualcosa, arrivò al telefono dell’entrata. Da buona matematica, aveva un’ottima memoria per i numeri. Riuscì a chiamare la polizia di Calbridge senza consultare l’elenco.
— Vorrei parlare col sergente Pardey — disse, senza lasciare che dalla sua voce trapelassero emozioni. Ci furono alcuni secondi di silenzio, e a lei venne in mente che aveva controllato l’appartamento in maniera molto superficiale. Ad esempio non aveva guardato sotto il letto, non aveva aperto l’armadio o il ripostiglio. Quel pensiero si insinuò nella sua mente, non se ne andò più. Si appoggiò alla parete, persa in un ambiente improvvisamente sconosciuto, e aspettò di udire la voce familiare di Pardey.
— Frank? Sono… — Deglutì. Era importante che la sua voce fosse calma. — Sono Leila Mostyn. Vuoi aiutarmi?
Pardey uscì in un sospiro esagerato. — Leila, te l’ho detto cento volte. Quando il vigile ha steso la multa non c’è nessuno, nemmeno Dio Onnipotente, che possa farci qualcosa.
— Non è per una multa, e lo sai — rispose Leila, quasi sorridendo. Era un grande conforto sentire la battuta che Pardey le ripeteva ormai da anni.
— Guarda, se è un rubinetto che perde o…
— Frank, sono appena rientrata. In casa mia c’è stato qualcuno.
— Oh? — Il tono di voce di Pardey era cambiato. — Hanno portato via qualcosa?
— Non credo.
— E allora come hai fatto…? Ti hanno buttato tutto per aria?
— Non proprio. — Leila gli raccontò tutto. Gli disse anche che probabilmente l’intruso era una persona che la conosceva.
— Pensi che sia uno scherzo cretino?
— Gli amici me li scelgo con una certa cura — ribatté lei, irritata.
— D’accordo. Non toccare niente. Fra un paio di minuti arriveranno i miei uomini.
— Frank, speravo che si potesse fare una cosa… fra noi. Per ora non vorrei mosse ufficiali.
— Insomma, non vuoi che dei poliziotti in uniforme vadano in giro a rompere le scatole ai tuoi vicini.
— Ecco, io…
— E ti piacerebbe che lasciassi perdere faccende più importanti e ti riservassi un trattamento da VIP.
Leila mormorò: — Probabilmente sì. Scusami.
— Non pensarci nemmeno, mia piccola patatina… A cosa servono gli amici? — Pardey era talmente gioviale che forse lo faceva apposta per far sbollire la tensione di Leila. — Ripeto, non toccare niente. Arrivo subito. Ci vediamo.
Leita mise giù il telefono e si guardò attorno, cercando di decidere la mossa successiva. Sarebbe stato il caso di controllare armadio e ripostiglio, ma Frank le aveva detto di non toccare niente, e lei gliene era profondamente grata. Uscì sul pianerottolo, lasciando la porta aperta. Da lì vedeva tutta fa periferia di Calbridge, una zona verdeggiante che le prime ombre della sera cominciavano a oscurare. Quel paesaggio le ricordava la casa dei suoi genitori, a Reading. Per un attimo, stranamente, provò il desiderio di essere a casa. Senz’altro suo padre e sua madre erano fuori in giardino, a curare l’erba e i fiori. L’immagine di quella tranquillità domestica venne sopraffatta dal ricordo improvviso di John Redpath. John odiava il giardinaggio, e lei lo rivide mentre pronunciava una delle sue battute alla Oscar Wilde. “C’è qualcosa di terribilmente triste nello spettacolo della più alta forma di vita animale del pianeta che dedica tanto tempo e tanta energia al benessere delle più basse forme di vita vegetale del pianeta. “Per un attimo se lo vide davanti, alto e magro com’era, intento a declamare, a spiegare il suo punto di vista. “Chissà chi è più furbo? Io o lui?”
In momenti del genere John cercava di essere stravagante, eccentrico. Ma in fondo era un tipo disperatamente normale, e, anche se non aveva mai dato voce ai suoi sentimenti, sarebbe stato ben felice di sposarla, di allevare una nidiata di figli e di curare il giardino di casa. Però lei, dopo essere sfuggita agli agguati dell’ambiente familiare, era più che decisa a evitare un destino del genere. Se proprio il matrimonio era inevitabile, avrebbe preteso il massimo in fatto di soldi, viaggi, e case che fossero decisamente in città o decisamente in campagna, non orribili vie di mezzo che la costringessero a una vita scialba e meschina.
Si accorse improvvisamente di pensare troppo a John Redpath, nonostante tutte le buone intenzioni. Era un’abitudine da eliminare. Appoggiò il gomito al davanzale della finestra e guardò giù, aspettando di veder comparire l’auto di Frank Pardey. Ci stava mettendo troppo.