— L’importante è che adesso tu ti senta bene — disse Betty, sorridente. — Ti ci vuole una tazza di tè e qualcosa da mettere sotto i denti. Scendi a mangiare con noi.
Redpath fece per dire di no; poi si accorse, con sorpresa, di avere fame davvero. Il suo stomaco era un organo del tutto insensibile, voleva essere riempito a dispetto dei colpi e dei traumi sofferti dalle altre parti del corpo. L’idea di un tè caldo e forte era particolarmente attraente. Redpath si tirò un poco più su, e in quella posizione si accorse che i suoi calzoni erano sporchi e spiegazzati, quasi a pezzi. Lo sguardo di Betty non lo aveva abbandonato un attimo.
— Ho avuto… un incidente — spiegò Redpath, a disagio.
— Succede nelle migliori famiglie, tesoro. — Betty sembrava del tutto indifferente.
— Non posso scendere conciato così.
— No, certo. Che misura porti?
— Cosa?
Le labbra piene di Betty ebbero un sorriso indulgente. — Che misura di pantaloni porti?
— Quarantasei — rispose Redpath, e si chiese se per caso non fosse scivolato in un altro sogno in cui la realtà era ancora distorta. — Ma è impossibile…
— Ci pensa la signorina Connie. — Betty lanciò un’occhiata all’anziana signorina, che fece un cenno quasi impercettibile, si alzò e uscì senza dire una parola. Redpath ebbe di nuovo l’impressione che nella vecchietta ci fosse qualcosa di sbagliato, e questa volta capì che la signorina Connie, nonostante l’aria fragile e curva, si muoveva con l’agilità di una ballerina. Era un fatto alquanto strano.
— Immagino che vorrai fare il bagno — disse Betty, andando verso la porta.
Davanti agli occhi di Redpath balenò, per un attimo, la visione di due corpi neri, scorticati, in una vasca di porcellana. — Non vorrei darti troppo…
— Faccio scendere l’acqua e ti preparo l’accappatoio. Appena hai finito vieni giù, tesoro. — Betty uscì dalla stanza. Redpath si mise in ascolto. Sentì i suoi piedi che scendevano gli scalini. Un minuto dopo, in basso cominciò a scorrere l’acqua. Rotolò giù dal letto, e si alzò in piedi. Sentiva un dolore tremendo al basso ventre. Alla luce artificiale del lampadario, la sua camera era più triste e anonima che mai. Si portò sotto la finestra, scostò le tendine e guardò nelle tenebre. Le case attorno formavano un muro alto, buio, squarciato da un’apertura; e in quell’apertura intravedeva le luci di Calbridge, luminose, fosforescenti, lontane nel tempo e nello spazio come lo sfondo di un dipinto di Leonardo.
Prigioniero di una tristezza sconfinata, Redpath richiuse le tendine e scese al piano di sotto. Adesso era tutto tranquillo, in quel buio anonimo. Trovò subito il bagno, che in effetti era la prima porta a sinistra sul pianerottolo del primo piano. Gli avevano lasciato accesa la luce. Entrò, chiuse la porta col catenaccio traballante. L’acqua nella vasca era leggermente giallastra, però calda e abbondante; e vestiti puliti lo aspettavano su un sedile di giunco.
Redpath guardò i calzoni: erano color marrone rossiccio, nuovissimi, con l’etichetta del negozio Marks Spencer ancora attaccata alla cintura. Per di più, l’etichetta lo informò che i calzoni erano esattamente della taglia che aveva chiesto. Poi c’era una camicia sportiva, biancheria e calze; e tutto aveva ancora l’etichetta, tutto era nuovissimo.
“Come diavolo…?” Fissò i vestiti, incredulo. “La camera della signorina Connie dev’essere una specie di supermarket!”
Meccanicamente, cercando di soffocare la sensazione d’irrealtà che lo aveva assalito di nuovo, Redpath fece il bagno e indossò i vestiti nuovi. Poi salì in camera, a depositare i panni sporchi. Dopo un attimo d’esitazione scese a pianterreno. Sotto la porta del soggiorno s’intravedeva una linea sottile di luce. Si diresse verso la porta, ma prima che lui riuscisse a toccare la maniglia la porta si spalancò. Redpath si trovò davanti la figura enorme, appariscente, di Wilbur Tennent.
— Vieni, John, vieni — disse Tennent, espansivo. — Non fare cerimonie. Adesso sei di famiglia.
— Grazie — mormorò Redpath, avanzando nella stanza. Seduti attorno alla stufa a gas c’erano Betty York, la signorina Connie che lavorava a maglia, e la figura sproporzionata di Albert, ancora vestito della tuta marrone, con una tazza di tè fra le mani enormi. Al centro del gruppo c’era un carrello con panini imbottiti e dolci. Redpath notò che gli sorridevano tutti, e una paura nuova cominciò a destarsi in lui. Un serpente si mosse nel suo cervello.
“È quasi orribile quanto l’incubo. Pensano che io sia come loro, ma è impossibile. O è possibile? È possibile?”
— Prima di sederti, vecchio mio, prendi questi — disse Tennent, e gli mise in mano un mucchietto di carta.
— Cosa? — Redpath abbassò gli occhi: aveva in mano qualche banconota. — Non…